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Il pezzo della domenica

In una calda domenica di giugno, un fatto di cronaca nera accaduto oggi ne riporta alla memoria un altro di qualche anno fa, in un altro caldo giorno d’estate

di Ferdinando Scala – In una domenica di giugno, di tutto vorresti occuparti, tranne che di cronaca nera. Tuttavia, non siamo eremiti che vivono in una torre tecnologica senza prestare alcuna attenzione al mondo di fuori, e magari qualche spettro ci guarda dal nostro personale armadio. Per cui, non è possibile tacere, e neanche voglio farlo, quando i fantasmi bussano alla porta. In mattinata, un pazzo furioso, per motivi che ancora non sono stati chiariti e che neanche onestamente mi importa molto apprendere, ad Ardea a sud di Roma (Spara, uccide due bambini e un anziano, poi si toglie la vita sparandosi nel cranio in casa  – Alessandria Oggi) ha sparato a un anziano che passeggiava tranquillamente in bicicletta, e a due fratellini che giocavano pacificamente nei pressi di casa.
Come sempre succede in questi casi, immediatamente un cordone di Carabinieri ha circondato l’edificio dove si è barricato, ed ha avviato le procedure del caso. Di solito si cerca di parlare con l’assassino, anche se magari – lo dico io, questo – ti prudono le mani pensando alle povere vittime che hai visto portare via. La forza di un uomo di legge, e di un Carabiniere in particolare, è appunto quella di cercare di catturare l’assassino, coerentemente a quello che la nostra cultura sociale e giuridica ci impone di fare. Caino va preso, messo in manette e gettato in galera; almeno fino a quando il solito circo di avvocati, benpensanti e umanità varia, cercherà di tirarlo fuori. Ma prima di arrivare lì, la questione è tra gli uomini in divisa nera e l’assassino. Bisogna avvicinarlo, convincerlo a deporre le armi. Bisogna fare ricorso a tutte le tecniche possibili di persuasione e di psicologia criminale. Bisogna anche correre il rischio di “essere sparati”.
Il pazzo di questa domenica di giugno ha risolto le cose da solo, ammazzandosi. Non c’è stato bisogno di diplomazia, né di correre rischi. Gli uomini in divisa non hanno dovuto stancarlo, per poi entrare di sorpresa e cercare di catturarlo. Nessuno ha dovuto rischiare la vita, amen.
Avrei voluto fosse andata così anche in un’altra giornata d’estate, il 17 luglio del 2009, che era un venerdì. Caldo, in provincia di Vicenza, con la mente si va al fine settimana: una gita fino al Garda, oppure su per l’altopiano di Asiago, a cercare un po’ di refrigerio. Ma il sole fa anche brutti scherzi alla testa delle persone, e un vecchio impazzito si barrica in casa con un fucile, minacciando i passanti. I ragazzi con la divisa nera arrivano, circondano la casa, allontanano tutti perché nessuno si faccia male, cominciano a parlare. E poi arriva un ufficiale dell’Arma, che prende il comando delle trattative. Parla a lungo, cerca di convincerlo a venire fuori, a consegnargli il fucile. Il caldo aumenta, la divisa nera è un forno, e sotto il cappello con la fiamma si suda di tensione. Il vecchio pazzo sembra cedere, il Carabiniere si avvicina per disarmarlo, ma improvvisamente la fiamma sul cappello si spegne.
Valerio Gildoni era un ragazzino serio, riservato e competitivo, nei nostri anni insieme alla Scuola Militare Nunziatella. Nato Carabiniere, concentrato sull’obiettivo, affrontava studio e addestramento con adamantina determinazione. La stessa determinazione che lo ha portato a brillare in Accademia, sfavillare alla Scuola Ufficiali, e a conseguire quattro lauree. Quando quel giorno è arrivato a Bosco di Nanto, aveva finito solo da pochi giorni il corso di Stato Maggiore. Con ogni probabilità, oggi avrebbe una greca da generale sulla spallina, avviato verso i più alti gradi dell’Arma che tanto amava.
Valerio è stato tradito dal suo essere Carabiniere, dalla sua voglia di essere d’esempio, dal senso del dovere verso tutti i cittadini, anche verso i pazzi armati. La medaglia d’oro al valor militare che gli hanno conferito, le caserme che gli hanno dedicato, per noi che lo abbiamo conosciuto e visto crescere, hanno un valore relativo. Avremmo preferito di gran lunga incontrarlo un bel giorno, con sua moglie Barbara, in uno dei nostri tanti raduni. Capelli ormai grigi, una greca e tre stelle o forse quattro sulla spallina. E gli avremmo detto: “Valè, sei contento, ora? Facciamo un brindisi insieme?”. E lui avrebbe finalmente sorriso, e noi lo avremmo abbracciato, perché la famiglia non è fatta solo dal sangue.
Caro spettro, tornatene nell’armadio, adesso, che la storia è finita. Ho scritto Il pezzo della domenica, o Il pazzo della domenica?
Non lo so più, ho la vista appannata.
Porca puttena.

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