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SE FA DRIIIN NON È UNA CAMPANELLA

di Andrea Guenna – Iniziano le scuole e dappertutto ormai si sente dire e si legge che “suona la campanella”. Ma quale campanella? Quella del convento che annuncia l’apertura del capitolo? No, pare che sia il vecchio caro campanello che suonava all’inizio e alla fine delle lezioni, e alla fine e all’inizio dell’intervallo. In molti casi “ha cambiato genere” e, secondo il Maligno che sa, ma soprattutto intuisce sempre tutto, è tutta colpa delle giovani, e meno giovani, rampanti croniste femministe che l’hanno imposto nel gergo comune come oggetto di genere femminile. Una conquista, non c’è che dire. E allora ci si chiede come mai il movimento femminista, sempre attento a femminilizzare tutto ciò che gli capita a tiro, fa esattamente il contrario con gli aggettivi qualificativi di persona, per cui se si ha a che fare con una donna laureata in legge, pretende che la si chiami avvocato e non già avvocatessa, o se laureata in medicina dottore e non dottoressa, se appartenente al corpo di polizia urbana vigile e non vigilessa. Il problema diventa irrisolvibile quando gli aggettivi diventano pronomi che iniziano con una vocale, per cui l’avvocato femmina, se preceduto da un articolo indeterminativo (un, uno al maschile, una al femminile) costringe a sbagliare perché lo si dovrà attribuire ad un pronome di donna e lo si dovrà apostrofare: un’avvocato. Orrore! Ma non è  finita perché ultimamente si nota sempre più spesso che in molti non sanno maneggiare neppure gli articoli indeterminativi e dimenticano che al femminile, avendo a disposizione solo l’articolo “una”, se incontra una vocale deve essere apostrofato, mentre al maschile, essendoci le due opzioni “un” e “uno”, l’apostrofo non serve. Ebbene, nel caso si dovesse apostrofare un aggettivo che inizia con una vocale, di quell’avvocato (donna) declinato come pronome, sono dolori perché leggo sempre più spesso di aggettivi neutri (che sono sia maschili che femminili) come, per esempio, “autorevole”, “intelligente”, “esuberante”, “affascinante” che, essendo riferiti ad una donna, e iniziando con una vocale, dovrebbero imporre l’apostrofo all’articolo indeterminativo ma sono scritti “un autorevole”, “un intelligente”, “un esuberante”, “un affascinante”, invece di “un’autorevole”, “un’intelligente”, “un’esuberante”, “un’affascinante”, il che consentirebbe, in assenza di altri elementi, di identificare immediatamente il sesso della persona in oggetto che, anche solo tramite un semplicissimo apostrofo, si capisce subito che è femmina. Ecco la perfezione e completezza della nostra lingua a differenza delle altre. Una lingua che stiamo violentando in nome di una rivoluzione inutile e dannosa, mentre sarebbe meglio farne una utile per mandare affanculo quei pezzi di merda che ci stanno rovinando la vita con la finanza e la globalizzazione (anche noi maschietti usiamo i nostri neologismi, forse un po’ volgari – ma è colpa del testosterone – ancorché efficaci). Niente, le nostre donne si accontentano di storpiare l’italiano (perché sono ignoranti e non innovatrici) e, parlando di una persona tutta d’un pezzo dicono e scrivono che ha “la schiena diritta” mentre una volta si diceva che “andava a testa alta”, il che presuppone pure di avere la schiena diritta, ma ha tutto un altro significato in quanto, per me, avere la schiena diritta significa essere un fannullone che non s’abbassa a lavorare. Tuttavia non voglio dare la croce addosso solo al gentil sesso perché l’ignoranza è “democratica” e colpisce uomini e donne in egual misura. Come quelli che sanno male l’italiano e l’inglese ma nel dubbio fanno capo al secondo e storpiano il primo. Per esempio, parlano di preziosità mentre in italiano si dovrebbe dire pregio. Oppure di emozionale, mentre in italiano si dovrebbe dire – distinguendo – emotivo od emozionante. Poi nascono nuovi aggettivi del tutto impropri come quello che tizio è una persona solare invece di aperta, gioviale, simpatica, in quanto di solare ci sono le fasi e i pannelli fotovoltaici. E, per tornare al cambiamento di genere, sono sempre di più quelli che chiedono delle zucchine che in verità sono zucchini. Infatti la zucchina è una particolare qualità di zucca, più piccola, mentre lo zucchino è un’altra cosa e, anche se diventa molto grande, non sarà mai una zucca. Insopportabile poi la mania dei nomi esotici, come nel caso di quelle mamme che chiamano le bambine Andrea che è il nome più maschile in assoluto perché deriva dal greco andros che significa “uomo forte, guerriero”. Ma anche chi ha studiato ormai si lascia risucchiare nel gorgo dell’ignoranza come i magistrati che non hanno mai protestato per l’aggettivo o pronome deverbale “indagato”. Infatti il verbo indagare è intransitivo, ma le cancellerie lo usano (meglio, abusano) in senso transitivo: “il registro degli indagati”, “io indago lui”, “lui è indagato”. Dovrebbe dirsi invece il registro degli inquisiti: “io inquisisco te”, “lui è inquisito”, proprio perché inquisire, a differenza di indagare, è verbo transitivo. E che dire di quei politici e di quei giornalisti che chiamano Consulta la Corte Costituzionale? Dovrebbero sapere che la Consulta era un organo consultivo della Chiesa e risiedeva nel palazzo che oggi è occupato dalla Corte Costituzionale che, tuttavia, non può essere una consulta, proprio perché è il massimo tribunale del Paese quindi un organo deliberante. Ma loro leggono “Palazzo della Consulta” e sono convinti che che la Suprema Corte sia un organo consultivo. Poi ci sono quelli che scambiano l’aggettivo “alcun-o” con “nessun-o”. Stiamo parlando dell’italiano e non del francese dove si usa sempre “alcuno” aucun che tradotto in italiano dà sia “alcuno” che “nessuno”, a seconda dei casi. Se in coppia con l’avverbio “non” in italiano la forma corretta è solo quella con nessuno: “Io non ho nessun problema a spostarmi”, e non invece: “Io non ho alcun problema a spostarmi”. Non parliamo poi di quelli che confondono l’accento con l’apostrofo: “Dammi un po’ di pane” diventa per loro: “Dammi un pò di pane”. Perfino molti laureati sbagliano a dimostrazione che la laurea non fa diventare colti perché la cultura si acquisisce in famiglia (ma, ahimé, la famiglia è esplosa) e poi alle superiori (e, ahimé non c’è più il liceo serio di una volta) e con studi classici che donano una formazione armoniosa e culturalmente completa. Come diceva, credo, lord Brummel, è dai particolari che si distingue un signore, ed io aggiungo: una persona colta. Per questo motivo quelli che usano impropriamente l’accento non sanno che “po’ ” vuole l’apostrofo in quanto forma apocopata (da apocope) di poco. E da apocope deriva, appunto, apostrofo. Temo che ci abbiano rovinato le lingue straniere, soprattutto il francese e l’inglese che hanno inquinato l’italiano. Per esempio molti credono che il pronome inglese you significhi “tu”, mentre può significare anche “voi”. Alla Regina ci si rivolge con you ma in questo caso è un “voi”, ovviamente. Questo errore, a noi italiani che siamo esterofili, ha creato un sacco di confusione per cui, volendo imitare i sudditi di Sua Maestà, non sappiamo più quando salutare con ciao o con buongiorno e buonasera. Per tagliare la testa al toro oggi si saluta sempre più frequentemente col generico buona giornata che va bene sia col tu che col lei (voi in inglese). Insomma, noi italiani, eredi legittimi della lingua più bella e completa del mondo, importiamo termini linguistici dai barbari e li mescoliamo ai nostri. Usiamo la lingua degli altri e non ci rendiamo conto di quanto sia bella la nostra. E i barbari, alla fine, siamo noi. Niente paura, per ora mi fermo qui. Dei congiuntivi tratterò un’altra volta.

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