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Nonostante la messa al bando, le mine antiuomo hanno causato altre settemila vittime civili nel 2020

Palermo ( C. Alessandro Mauceri de “Lo Spessore”) – È stato presentato in questi giorni il “Landmine Monitor”, il rapporto 2021 sulle mine antiuomo, armi messe al bando sin dal 1997 con il Mine Ban Treaty, ma che continuano ad essere uno strumento di morte più diffuso di quanto si pensi. Solo 164 paesi hanno ratificato la Convenzione sul divieto di uso, stoccaggio, produzione e trasferimento delle mine antiuomo e sulla loro distruzione. Tra questi mancano tra le maggiori potenze mondiali: Stati Uniti, Russia, India e Cina. Negli arsenali di tutto il mondo ci sono ancora milioni di mine antiuomo pronte all’uso, e la produzione non è mai cessata. Anzi, la ricerca indica 12 stati come produttori di mine antiuomo: Cina, Cuba, India, Iran, Myanmar, Corea del Nord, Pakistan, Russia, Singapore, Corea del Sud, Stati Uniti e Vietnam. Secondo il rapporto “la maggior parte dei paesi elencati come produttori di mine antiuomo non producono attivamente, ma devono ancora dimostrare di avere smesso”. Quelli dove sono maggiori le probabilità di “essere ancora produttori attivi sono India, Iran, Myanmar, Pakistan e Russia”. La Russia starebbe sviluppando nuovi sistemi di mine antiuomo “intelligenti”, come emerso durante le esercitazioni militari annuali nel 2021.
Sono tre gli assi fondamentali dell’accordo internazionale, cioè la non proliferazione, la distruzione degli arsenali esistenti e la bonifica delle aree minate.
Per tutti e tre i numeri del rapporto sono impressionanti. Nel mondo sono circa 50 milioni di mine antiuomo pronte a scoppiare. Un numero inferiore ai 160 milioni stimati prima dell’entrata in vigore del trattato, ma pur sempre tante. Troppe. Ogni ora una persona muore o resta vittima di gravi malformazioni calpestando una mina. Si tratta per la maggior parte di vittime sono civili che vivono in paesi in pace. “Sia le mine terrestri che i residuati bellici esplosivi rappresentano una minaccia seria e continua per i civili. Queste armi possono essere trovate su strade, sentieri, campi di contadini, foreste, deserti, lungo i confini, nelle case e nelle scuole circostanti e in altri luoghi in cui le persone svolgono le loro attività quotidiane”, si legge nel rapporto. Sono almeno 60 gli stati contaminati da mine antiuomo. Di questi 33 hanno sottoscritto l’obbligo di sminamento ai sensi dell’articolo 5 del Trattato di Ottawa. Grave la situazione in paesi come Guinea-Bissau, Mauritania, Nigeria, Algeria, Kuwait, Mozambico, Nicaragua, Burkina Faso, Camerun, Mali, Tunisia, Venezuela, Afghanistan. Ma anche in alcuni paesi europei come la Bosnia Erzegovina, la Croazia e l’Ucraina.
Sorprendente il fatto che molti dei paesi che hanno sottoscritto la Convenzione sulla messa al bando delle mine continuano a stipare nei propri arsenali decine di migliaia di ordigni mortali. Tra questi anche alcuni tra i più “sviluppati” e “civilizzati” al mondo, tra cui la Finlandia: secondo il rapporto appena pubblicato nei suoi arsenali ci sarebbero ancora 15.851 mine antiuomo, ed anche la promessa di eliminarle non sarebbe stata mantenuta, se si pensa che nell’ultimo anno la Finlandia avrebbe distrutto solo 131 mine. Stessa cosa per la Svezia, che conserverebbe 5.984 mine nei propri arsenali. E poi paesi come la Grecia, la Croazia e persino il Belgio: stando al rapporto nei suoi depositi ci sarebbero oltre 2mila mine antiuomo. Sarebbero almeno 48 gli stati che non hanno distrutto le mine antiuomo di cui disponevano o fornito informazioni poco aggiornate per almeno due anni consecutivi. 18 di loro “non hanno eliminato mine stoccate per almeno 10 anni”, e 7 “non hanno mai riferito di aver distrutto le mine da quando il trattato è entrato in vigore”.
Bombe ritenute particolarmente pericolose (e per questo bandite) per due motivi. Il primo è che spesso colpiscono civili, non obiettivi militari. Il secondo è che queste mine restano attive e letali per decenni dopo la fine dei conflitti. Il 2020 è il sesto anno consecutivo con un numero elevato di vittime registrate a causa delle mine. Nel 2020 sono state 7.073 le vittime di mine/ERW: 2.492 i morti e 4.561 le persone sono rimaste ferite, mentre per 20 persone non si conosce l’esito. Un numero molto maggiore rispetto a quello dell’anno precedente (5.853 vittime registrate nel 2019) e più del doppio del totale annuo più basso registrato nel 2013, 3.456. È per questo motivo che l’accordo prevedeva non solo la non proliferazione e l’eliminazione delle mine antiuomo presenti negli arsenali, ma anche la bonifica delle aree pericolose.
Inascoltati gli appelli delle ong, come nel caso di Human rights Watch, che per bocca del suo direttore esecutivo Steve Goose ha parlato dell’incapacità di molti paesi nel fare “progressi distruggendo le sue scorte negli ultimi anni”. Eppure il piano d’azione di Oslo prevedeva che gli stati che non fossero riusciti a rispettare le scadenze per la distruzione delle scorte presentassero “un programma temporale per il completamento e a procedere urgentemente con l’attuazione in modo trasparente”.
Tutto inutile: lo scorso anno gli Stati Uniti hanno annunciato di voler riattivare l’uso di mine antiuomo, e secondo il rapporto, nei loro arsenali vi sarebbero circa tre milioni di mine antiuomo. Un numero impressionante ma molto inferiore a quello della Russia, che conserverebbe 26,5 milioni di mine.
A questi paesi non importa delle oltre 122mila vittime di mine da quando è iniziato il monitoraggio globale nel 1999, di cui solo 86mila sopravvissuti. Vittime per la maggior parte civili (87%). E per almeno la metà bambini saltati in aria mentre giocavano dove qualcuno aveva “dimenticato” di togliere le mine che aveva sotterrato.

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