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Gli strafalcioni della stampa dominante non sono solo concettuali ma anche grammaticali, della serie: quando si confondono gli accenti con gli apostrofi

di Andrea Guenna – Prossimo ai settant’anni, dopo una vita spericolata, non finisco di stupirmi. Lasciamo perdere la guerra che c’è sempre stata e sempre ci sarà ma, soprattutto, non è sempre colpa di chi la fa; lasciamo perdere la marea omosessuale che sta stravolgendo l’armonia universale voluta dal Padreterno, un donnismo ormai insopportabile e l’insipienza dei nostri politici, ma quando un giornale nazionale nei titoli confonde gli apostrofi con gli accenti vuol dire che abbiamo veramente toccato il fondo. Nell’immagine ne riportiamo un ritaglio dove campeggia un titolo nel quale si leggono i sostantivi Ca’ e Pra’ scritti con l’accento e cioè Cà e Prà, errore insopportabile che si trova anche nell’articolo.
Una regoletta da quinta elementare (ai miei tempi, quando si studiava, e non oggi che, pur essendo ignoranti, prendono tutti trenta perché i professori sono ancora più ignoranti, tanto è vero che in cinquant’anni le nostre migliori università sono diventate le ultime dell’Occidente), ci dice che l’accento è un segno morfologico che determina un’elevazione del tono della voce nella pronuncia d’una sillaba rispetto ad altre sillabe della stessa parola, per cui, per esempio Oltrepò, che è l’agglutinazione di “oltre” (avverbio di luogo) e “Po” nome proprio del grande fiume, prende l’accento sulla seconda “o” di Po per mantenere intatta la pronuncia che, senza accento, sarebbe piana: Oltrepo. Quando invece si vuole indicare la caduta d’una sillaba (apocope) si usa l’apostrofo. Così ca’ sta per casa e pra’ sta per prato, esattamente come dovrebbe essere scritto nel titolo di quel fogliaccio illeggibile che, per fortuna e secondo le ultime statistiche, ha sempre meno lettori.
Così, per la precisione.

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