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Due errori in un titolo, un po’ troppi

di Andrea Guenna – In ogni ambito ci sono delle regole che devono essere rispettate, perché il relativismo è pericoloso, ma ormai tutto è opinabile, non si capisce più niente e, fatto molto pericoloso, prevale spesso non chi ha ragione ma chi è più furbo e fa credere di avere ragione. Stamane sfogliando la rassegna stampa mi sono imbattuto in un titolaccio che contiene due errori. Lo riporto sopra dove si legge della campanella e di una cifra ibrida metà in numero e metà in parola. Per quanto riguarda la campanella fra un po’ anche quello della porta di casa, che è elettrico e fa driiin (immagine a lato), cambierà genere e da campanello diventerà una campanella. È un’assurdità dettata forse da una certa follia contemporanea che sta facendosi pericolosa in quanto, come mi conferma il mio amico Maligno, tende a far credere che essere maschi sia più o meno un reato, per cui quello che si può femminilizzare si deve femminilizzare a tutti i costi. Anche i giornali slittano su questo tragicomico errore e femminilizzano dove possono. E allora che fare? Cerchiamo di salvare il salvabile studiando un po’ di più la nostra splendida lingua, la più bella del mondo, anche se il congiuntivo è ormai agonizzante, la morfologia sta scomparendo, la sintassi è sfasciata e i neologismi senza senso imperversano. Non pretendo certo di cassare strafalcioni come l’ormai onnipresente “interattivo” che ha preso le mosse da “iterativo” che significa “reciproco”, “vicendevole”, “flusso”, o altra paccottiglia del genere dovuta al computer che ha cambiato la vita a tutti, ma a tutto c’è un limite, e quello che funziona e serve, se è possibile, è meglio tenerselo così com’è.
E allora perché, per esempio, rinunciare al congiuntivo che esprime ciò di cui non si è certi: credevo venissi (non ero certo che…), ero convinto che ti piacesse il pesce, speravo che ti sposassi, preferendo invece dire con molta disinvoltura e una buona dose di ignoranza: credevo che saresti venuto, ero convinto che ti sarebbe piaciuto il pesce, speravo che ti saresti sposato.
Tornando a bomba, fra i tanti cambiamenti inutili nella lingua italiana, come abbiamo visto, da un po’ di tempo a questa parte esistono quelli di genere, per cui un sostantivo da maschile diventa femminile e viceversa. In Alessandria lo fanno da secoli dove gli zoccoli diventano zoccole, la grana (i soldi) grano, ma ora succede che l’italiano, a questo proposito, sia massacrato dappertutto. Ma allora, campanella o campanello? Per la precisione, andando a consultare il sempre ottimo vocabolario Zingarelli del 1965 (quando la nostra lingua non era stata ancora contaminata), a proposito di campanella si legge: “Piccola campana – Genere di piante col fiore formato a modo di campanella”. Ora, lasciando perdere il fiore, la ricerca si restringe e bisogna andare a vedere qual è la differenza fra la campana e il campanello. Ebbene, fra i due la differenza c’è ed è semplice in quanto il campanello, se non è elettrico o meccanico (quello degli alberghi per esempio), si impugna per il manico e si scuote per suonarlo, mentre la campana, grande o piccola che sia (campanella), è fissata al muro o a un sostegno e si aziona tirando una corda o scuotendo il battacchio (immagine a lato). Gli è che, dopo lo zucchino che diventa zucchina, i tagliatelli (nati in Piemonte come tajarin) che diventano tagliatelle, temo che ci dovremo sorbire anche il campanello che diventa campanella, in attesa che diventi tale anche il campanello elettrico.
Ma la perversa fantasia degli ignoranti, che sono sempre in maggioranza, fa sì che anche i numeri subiscano “mutazioni genetiche” piuttosto curiose per cui, come si vede nel titolo riportato sopra, 21.000 diventa 21mila. Naturalmente se ci fosse da scrivere 21.345 l’illetterato scriverà 21milatrecentoquarantacinque. E allora, somme, addizioni, divisioni e moltiplicazioni come si potranno fare? Semplice, con lo smartphone, che diamine!

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