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DA PIERCARLO FABBIO

RICORDO DI AMAELE ABBIATI – La notizia della scomparsa di Amaele Abbiati, sindaco di Alessandria dal 1964 al 1967 è di quelle informazioni che preferiremmo mai ascoltare, mai leggere, mai comunicare ad altri. Ad affrangerci non è tanto il percorso dell’esistenza umana che così, per ognuno, termina, ma a spaventarci è la fatica di dover costruire un ricordo serio e sereno di uno dei più interessanti personaggi politici della storia locale, di un uomo che, nella soavità di un sorriso o nella sapida battuta dell’ironia, ha saputo trasformare e modernizzare la politica cittadina, raccogliendola da una tradizionale visione frontista e recandola verso una dimensione di cui ancora oggi subiamo gli influssi.
Perché Amaele, gappista, socialista dal 1955, consigliere comunale dal 1957 e assessore dal 1960 con il Basile dell’epilogo, aveva certamente assorbito l’esperienza della ricostruzione faticosa, dei sacrifici, degli stenti postbellici, della fame di un popolo, ma aveva deciso di fare ben altro, cioè di trasformare la politica alessandrina, non facendo sconti, ma partendo appunto dalla necessità che la politica si affermasse e superasse le stagnanti modalità che ne avevano contraddistinto il ruolo negli anni Cinquanta.
Del resto il periodo è propizio. Sono gli anni delle grandi infrastrutture pubbliche. Nel 1964 si inaugura l’autostrada del Sole. Presidente del Consiglio è Aldo Moro. Muore Togliatti e gli subentra, alla guida del PCI, Luigi Longo, originario di Fubine. Dopo le dimissioni di Antonio Segni, Giuseppe Saragat è il nuovo Presidente della Repubblica.
L’Italia è in boom economico dopo la ricostruzione e Alessandria balbetta. Da ormai 17 anni Basile guida una giunta socialcomunista, ma vi sono dissapori. Non si riesce a votare il bilancio, mentre si era adottata la delibera per il progetto del nuovo Teatro Comunale. Non basta. Si va ad elezioni nel novembre 1964: il Pci è il primo partito con  il 32,6%. Seguono la DC 27,4 e il PSI 16,5, il PSDI 9%. Nel PSI però c’è crisi e il partito si scinde; nasce il PSIUP interprete della linea più a sinistra dei socialisti, che alle amministrative coglie il 4,4%. La Giunta però, come annunciato in campagna elettorale, sarà di Centro-sinistra. A presiederla viene eletto il Prof. Amaele Abbiati.
Abbiati aveva lavorato per tempo sul tema del nuovo centrosinistra e sul nuovo accordo DC-PSI-PSDI. Lui ne era il leader. Lui l’uomo del coraggio della svolta. Lui non poteva che essere eletto primo cittadino.
E questa voglia di novità, di modernità, di programmazione – fino ad allora termine mai ascoltato nella Pubblica Amministrazione comunale – Abbiati la applica anche al suo partito e la impone alla DC. Il nucleo degli assessori economici: Simonelli – Vandone è garantito dal think tank di Carlo Beltrame. A questo motore sceglie Attilio Castellani ai LLPP, come vice sindaco, l’intelligenza acuta di Giampaolo Cellerino (urbanistica), l’esperienza pragmatica di Domenico Ferretti, la cultura di Renato Cocito (PSDI), la capacità relazionale di Innocenzo Barberis e il consenso, l’intuizione di Piero Magrassi che poi lo sostituirà quando Amaele sarà eletto Deputato nel 1968.
Il cammino della Giunta DC-PSI è travolgente: dal piano quadriennale al piano regolatore generale, dalla costruzione della Casa di Soggiorno per anziani a quella del mercato ortofrutticolo degli Orti; dal progetto della nuova scuola media di piazza Massimo D’Azeglio all’apertura di 51 sezioni di doposcuola. Corso IV Novembre è un po’ l’esemplificazione di questo nuovo modo di intendere, anche esteticamente, la città, che ormai rasenta i 100 mila residenti. Occorrono nuovi quartieri che vengono progettati ed iniziati.
Per la prima volta al Comune viene affidato un ruolo da protagonista nel pensare e realizzare grandi infrastrutture. Si risana il bilancio, da sempre in difficoltà, ma facendo progredire gli investimenti per non fermare la città e portarla a cogliere la dinamica del boom. Il Comune può anche attirare investimenti e l’insediamento della Michelin sarà uno di questi, anche se a Sindaco e Giunta piovono furiose critiche da parte dell’opposizione comunista.
Abbiati sa di essere dalla parte della ragione e rintuzza le critiche. Del resto è un uomo pragmatico, sa di dover fare, sa di dover scuotere dal suo lento sonnecchiare la città, sa, e non ha remore a dirlo, che dove non c’è politica, non c’è sviluppo. E da qui parte la sua critica sferzante all’era Basile. Il riferimento sociale è l’interclassismo – altra novità per i socialisti – mentre Castellani fa attenzione alla grande massa dei cattolici che fornisce un altro substrato di consenso al lavoro della Giunta e della maggioranza consiliare.
Il 1968 è però anche l’anno dell’ottavo centenario della fondazione della città, che Abbiati pensa e costruisce, ma Magrassi gestisce: vengono riscoperte le radici della città, gli Alessandrini si fanno storia con Fausto Bima, mentre Michele Pittaluga dà il via al Concorso internazionale di chitarra classica. Alle scuole viene diffuso un libretto con i lineamenti essenziali della storia cittadina. Molti cominciano lì a conoscerla e ad appassionarsi. Abbiati ne firma la presentazione in qualità di Presidente del Comitato Cittadino per le Celebrazioni.
L’attività di deputato lo tiene impegnato per 5 anni. Presenta 30 progetti di legge di cui 5 diventano legge. I suoi temi riguardano, la scuola, l’Università, il commercio.
Al mio primo mandato da Consigliere Comunale ebbi l’onore e la fortuna di sedere insieme a lui nei seggi austeri di Palazzo Rosso. Era il 1985. Per cinque anni, pur se con ruoli diversi ed in partiti diversi approfondimmo la nostra conoscenza ed io la sua storia. Che il coraggio non gli mancasse si era capito dalla prima seduta nella tarda primavera del 1985, quando il Consiglio elesse sindaco Giuseppe Mirabelli, che come costume voleva, sciorinò il discorso di insediamento con la sua nota perizia. Amaele Abbiati si alzò, ne sottolineò i passaggi salienti, non senza adattarsi alla scelta dell’alleanza con il PCI che aveva superato vent’anni prima, ma concluse con una di quelle battute che lo staccavano dalla massa dei tanti: “Sì, può andare bene, anche se il ragazzo (Mirabelli) è ancora un po’ acerbo e grossolano. Ma sono convinto che si farà”.
Era l’imprimatur di chi aveva innovato la politica alessandrina e si apprestava, in quel quinquennio, ad insegnare, minuto dopo minuto, ancora una volta, la sua propensione alla modernità.

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