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Tanto tuonò che piovve e Putin si allea con Pechino: ora, chi paga? Biden? O paghiamo noi?

Vladivostok (Andrea Guenna) – Putin è stato chiarissimo ieri quando ha detto, papale, papale: “Non forniremo gas, petrolio, carbone, olio combustibile: non forniremo nulla [all’Europa]”.
Eccallà, direbbero a Roma, La frittata è fatta e dopo le sanzioni, l’invio di armi, le frizioni (per usare un eufemismo) diplomatiche, le insopportabili pressioni politiche Usa e l’atteggiamento inqualificabile di Olanda e Norvegia che stanno lucrando in modo miserabile a loro vantaggio sulla fornitura di Metano, lo Zar, che periodicamente danno tutti per malato, moribondo, contestato e chi più ne ha più ne metta, con la forza della stragrande maggioranza dei russi che sono con lui senza se e senza ma, e col vantaggio di godere di ottima salute, ce lo sta piantando dove non batte il sole.
Lo Zar ha deciso che a noi europei non darà più niente mentre aprirà nuovi mercati in Cina, India, Pakistan. Circa tre miliardi di nuovi clienti che sostituiranno ampiamente i miseri 750 milioni di europei che sono esattamente un quarto.
I giornali di regime (il 90%) non dicono la verità e nascondono che Putin di noi può fare a meno, anche se l’Europa – ma soprattutto l’Italia – è un’area strategica per il traffico merci nel Mediterraneo. Certo è che se dovessimo accordarci con Putin (la guerra in Ucraina è una scusa per vendere un po’ di armi da parte delle multinazionali occidentali, tutto il resto è una balla colossale) noi italiani diventeremmo una potenza economica e militare, per di più capofila delle nazioni che si affacciano sul Mediterraneo che, tutte insieme, farebbero parte d’una sorta di “Impero Romano del Terzo Millennio” e sarebbe anche risolto il problema dell’immigrazione dall’Africa come avevano fatto brillantemente i Romani 2000 anni fa.
Faremmo a meno della Francia, dei Paesi Bassi e degli inglesi, ma amplieremmo l’area a Marocco, Libia, Algeria, Tunisia ed Egitto. Facendo investimenti colossali per la bonifica dell’area con la creazione di foreste e città, nella migliore tradizione della Civiltà Romana. I russi questo lo sanno e non aspettano altro che qualcuno li chiami.
No noi andiamo dai bovari americani con la pistola alla cintola.
Ed è per questo che gli americani che, da quando esistono (è bene ricordarlo a chi ha la memoria corta o non vuole sentirselo dire) hanno fatto oltre 250 guerre e, nell’ultima Guerra Mondiale coi bombardamenti a tappeto, hanno ucciso circa 100.000 civili italiani (donne, vecchi e bambini), ci vogliono vassalli perché sanno perfettamente che se rialziamo la testa li polverizzeremmo per cui ci ricattano obbligandoci a esportare armi all’Ucraina e a mettere le sanzioni alla Russia.
Questa è la verità, poi gli altri dicano o scrivano quello che vogliono come hanno sempre fatto. E ne vediamo gli effetti.
Ieri Putin ha preso la parola al forum economico di Vladivostok per minacciare la completa chiusura dei rubinetti del gas per tutti quei Paesi che imporranno un tetto ai prezzi del metano e del petrolio russo. Un messaggio lanciato prima di tutto all’Europa, dove la presidente della Commissione Ue, Ursula von der Leyen, annunciava nelle stesse ore di voler andare avanti col price cap. Così – ma lo capiva anche il mio gatto Lillo – con l’Ue che cerca di ridurre la propria dipendenza energetica da Mosca, il Cremlino guarda sempre più verso Pechino anche per vendere il suo gas. Putin lo ha confermato proprio ieri: “Stiamo discutendo la realizzazione di un grande progetto infrastrutturale, un metanodotto per la fornitura di gas russo alla Cina attraverso la Mongolia”. Il colosso russo Gazprom è pronto a realizzare un gasdotto in grado di pompare fino a 50 miliardi di metri cubi di gas all’anno, poco meno del gasdotto già esistente che dal 2019 porta in Cina ogni anno fino a 61 miliardi di metri cubi di metano russo. E fanno 110 miliardi di metri cubi di metano ai quali presto se ne aggiungeranno altri 100 verso l’India. E poi verrà il Pakistan, e poi… avanti così.
Voila, les jeux sont fait, rien ne vas plus mes amis!
Putin ha annunciato che a metà settembre incontrerà a Samarcanda il presidente cinese Xi Jinping annunciando che l’interscambio tra Russia e Cina “ha già raggiunto i 140 miliardi di dollari e potrebbe presto arrivare a 200 miliardi”.
E noi staremo col cappotto in cucina a dicembre. Senza mangiare spaghetti perché ci sarà anche l’embargo del grano che arriva dall’Ucraina e che serve ai nostri pastifici a produrli, per cui gli italiani dovranno convertirsi ai Rabatòn d’la Fraschéta…, ma a tutti non piacciono.

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