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Il saccheggio francese dell’Italia era iniziato alla fine del XVIII secolo col furto della Marsigliese composta dall’italiano Viotti

Red – Cinquecentodiciotto “investimenti” francesi in Italia a trecentodiciotto investimenti italiani in Francia. I lavoratori italiani occupati in imprese controllate da Parigi sono 290.000. Finisce così, per il momento, la partita tra Francia e Italia in termini di acquisizioni di aziende nei reciproci Paesi, tema che periodicamente torna alla ribalta in occasione di incomprensioni e conflitti tra i due vicini, come quelli attuali sul tema dell’immigrazione. Vi è la percezione diffusa che, per dirla in parole povere, le aziende francesi stiano “comprando l’Italia”, attraverso la scalata e il raggiungimento del controllo di numerose imprese del Belpaese, compresi alcuni brand noti e simboli del Made in Italy.

Cui prodest lo shopping delle aziende francesi?
Queste operazioni, che in termini tecnici si chiamano M&A, ovvero Merger & Acquisitions sono positive, creano valore, salvando posti di lavoro e aziende sull’orlo del fallimento, rappresentando veri e propri investimenti produttivi? Oppure si tratta di azioni predatorie, che finiscono per avvantaggiare solo l’economia del Paese del soggetto che acquisisce (bidder), a danno di quella dell’impresa che viene acquisita (target)?

Le aziende francesi in Italia
Per quanto riguarda le operazioni di Merger & Acquistion, cioè fusioni e acquisizioni, nel 2021 si sono registrate 62 transazioni, per un valore complessivo di 2,9 miliardi di euro. La Francia è il secondo investitore dopo gli Stati Uniti. Le aziende americane, infatti, hanno effettuato 95 operazioni di M&A verso il nostro Paese, per un totale di 6,1 miliardi.
L’acquisizione più grande effettuata da un soggetto d’Oltralpe in Italia è stata quella di Lifebrain da parte di Cerba Health Care, per un valore di 1,2 miliardi di euro. Entrambe le realtà sono attive nel campo dei laboratori analisi. Quello medicale e farmaceutico, del resto, è un settore che con il Covid ha vissuto un grande fermento ed ha attirato molti investimenti.
Anche la più importante operazione francese nel nostro Paese della prima parte del 2022 è, non a caso, in questo ambito. Si tratta dell’acquisto della maggioranza di Biofarma da parte del fondo Ardian per 1,1 miliardi.
Nel 2021, rilevante è anche l’assorbimento di Creval da parte di Credito Agricole, per 840 milioni. La banca francese è da tempo molto attiva in Italia: nel 2007 ha comprato Cariparma da Banca Intesa e nell’ultimo decennio anche la Cassa di Risparmio della Spezia, quella di Rimini, di San Miniato e di Cesena. Sono tutte entrate a far parte di Credit Agricole Italia, una delle realtà più importanti del settore bancario italiano.

Le operazioni francesi dell’ultimo decennio
Il dato sulle operazioni del 2021 è naturalmente molto più alto di quello del 2020, quando, a causa della pandemia, tutto il settore finanziario ha subito una battuta d’arresto, e con esso anche gli investimenti francesi in Italia. Quell’anno le acquisizioni transalpine nel nostro Paese sono state 32, per un valore di circa 1,7 miliardi, meno di quelle che avevano avuto luogo nel 2017, nel 2018 e nel 2019, ovvero rispettivamente 44, 41 e 60.
In particolare nel 2017 il valore degli investimenti francesi in Italia ha raggiunto la cifra di 4 miliardi e 752 milioni. Protagonista è stata l’acquisizione da parte di Amundi (del gruppo Credite Agricole) di Pioneer Investment, che è costata 3 miliardi e 545 milioni di euro.
In precedenza era stata Vivendi a realizzare investimenti miliardari in Italia. Nel 2015 aveva acquistato il 21,4% delle quote di Telecom Italia per 3,3 miliardi di euro e nel 2016 il 28,8% di Mediaset per 1.171 milioni.
Ancora più celebri erano state alcune delle acquisizioni del passato, come quelle nel settore del lusso, che hanno visto, per esempio, Bottega Veneta, Pomellato e Gucci finire nelle mani del gruppo Kering di Francois Pinault. Lvmh, di Bernard Arnault, ha invece comprato Prada, Fendi, Bulgari (rilevando quote per 3,7 miliardi) e Loro Piana.
In ambito energetico nel 2012 Edf ha acquistato Edison, mentre in quello dell’agro-alimentare nel 2011 molte polemiche aveva scatenato il passaggio a Lactalis di Parmalat.

Controllate da aziende francesi 2.074 imprese italiane
Un capitolo a parte occupano le fusioni, che non possono essere inserite né nella colonna delle conquiste francesi né in quella delle conquiste italiane. Parliamo in particolare di quella tra Essilor e Luxottica di Del Vecchio, del valore di 25,6 miliardi di euro, che ha avuto luogo nel 2018, e di quella tra Fca Auto e PSA, da 19,8 miliardi, che nel 2021 ha fatto nascere il gruppo Stellantis, oggi uno dei principali player globali dell’automotive.
La grandissima parte degli investimenti francesi in Italia, tuttavia, ha coinvolto realtà più piccole, sconosciute ai più. Oggi secondo Istat (dati 2020) sono 2.074 le aziende italiane controllate da imprenditori o gruppi francesi. Complessivamente occupano 290.269 addetti, solo le aziende di proprietà americana hanno più dipendenti tra quelle a controllo estero in Italia.
La presenza francese supera quella di tutti gli altri Paesi nel settore dell’industria dell’energia e del commercio. In questi due ambiti Parigi è prima quanto a numero di lavoratori occupati in imprese di proprietà straniera.

Il fatturato generato dalle aziende a controllo francese
Queste aziende in totale hanno prodotto più di 52 miliardi di euro di fatturato nel 2020 e 21,2 miliardi di valore aggiunto, destinando 724 milioni a spese di ricerca e sviluppo. Si tratta, però, dei dati dell’anno più negativo dal Dopoguerra, se considerassimo il 2019 le cifre sarebbero diverse. Prima del Covid, infatti, i ricavi erano stati di 111,1 miliardi e il valore aggiunto di 25,9.
Rimane il dubbio: tali imprese senza l’intervento francese avrebbero vissuto un declino irreversibile? O avrebbero avuto performance migliori se il controllo fosse stato italiano? Sarebbero stati occupati più addetti? Sarebbero stati realizzati più investimenti, evitando, magari, che alcuni fossero deviati dalle aziende capogruppo verso la Francia?

La voracità dei transalpini viene da lontano
Perfino l’inno nazionale francese è poco francese. La musica è stata rubata a un italiano, e il destinatario era un maresciallo bavarese. Ma il testo, almeno quello, è made in France. Non a Marsiglia, però.
Certo, adesso la cantano tutti, ma da sempre la Marsigliese, cioè l’inno nazionale francese, è considerata coinvolgente e potente. In poche parole, molto bella.
È vero, bisogna ammetterlo, e il suo effetto resta forte sia che la canti François Hollande, che da fedifrago in motorino punta a diventare capo di una coalizione di guerra, sia che la intonino i tifosi a Wembley. Bene. Detto ciò, ci sono alcune cose che non tutti sanno di questo inno, e che vale la pena conoscere. Ad esempio, che si tratta di un furto.

La Marsigliese non è nata a Marsiglia
Come capita spesso, il nome può essere ingannevole. La Marsigliese si chiama così perché a cantarla, durante i giorni convulsi della Rivoluzione Francese, erano i fédéré a Parigi provenienti da Marsiglia. Nella città di mare era arrivato poco tempo prima, cioè il 22 giugno 1789. Lo aveva intonato, per la prima volta, un giacobino di Montpellier, e si era diffuso in fretta. Quando poi le truppe di rivoluzionari raggiungono la capitale, la cantano per le strade, trasformandola nell’inno della Rivoluzione. Inutile dire che Napoleone, appena sale la potere, la mette al bando.

La musica della Marsigliese è opera di un italiano
Come sempre, le cose più belle della Francia sono opera di italiani. La melodia della Marsigliese – e questo farà svenire dal dolore metà della popolazione d’Oltralpe – è stata creata da Giovanni Battista Viotti, musicista di corte a Parigi. Un expat ante litteram che, ben 11 anni prima (nel 1781), aveva creato lo spartito della musica, inconsapevole che poi gli sarebbe stato scippato qualche anno dopo per trasformarlo in un inno rivoluzionario. Una cosa riportata dall’Espresso. Immancabili le proteste e le smentite dei francesi, ma se si ascoltano le note di Viotti (qui sotto) la cosa diventa incontrovertibile. Un plagio ai danni degli italiani, anni prima del caso Al Bano vs. Michael Jackson.

La Marsigliese era dedicata a un tedesco
Il compositore finale della Marsigliese, cioè Claude Joseph Rouget de Lisle, colui che compose il testo (si spera, almeno quello) e rubò la musica, non pensava al popolo francese in armi, mentre scriveva, ma a un maresciallo bavarese, Nicolas Luckner. Di origine tedesca, si distinse al comando delle truppe prussiane e, allora, fu chiamato a Versailles. Insomma, un mercenario. Nel 1791 ricevette l’incarico da parte del barone di Dietrich, sindaco di Strasburgo, di guidare l’Armata del Reno contro l’Austria. Per accompagnare le sue truppe serviva una marcia potente, forte e vitale, e allora si chiese a Rouget de Lisle di comporre un inno. Risultato? La Marsigliese. All’inizio si chiamava L’inno di guerra dedicato al maresciallo Luckner, e venne cantato per la prima volta a casa del barone. Un momento storico.

Ça va sans dire.

 

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