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Ricordo di Angelo Bonanni un grande scienziato in ambito nucleare e pioniere dell’Elettronica Digitale Spaziale

di Giusto Buroni – Un anno fa, il 14 luglio 2022, moriva a 85 anni nella sua villa di Arese Angelo Bonanni, ingegnere romano, milanese di adozione, che fin dagli anni 60 riuscì nell’impresa di dotare di elettronica (digitale) italiana i sottosistemi di telemetria e telecomando di quasi tutte le missioni spaziali Italiane ed Europee.
Laureatosi in ingegneria elettrotecnica a Roma nel 1962, l’ingegner Bonanni intraprese la carriera di Ricercatore al CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche) di Frascati, nel settore tecnologico delle telecomunicazioni, che in quegli anni era soggetto a radicali trasformazioni, soprattutto grazie alla corsa per la conquista dello Spazio iniziata nel 1957 con il lancio dello Sputnik russo in orbita terrestre.
Gli Stati Uniti erano gli unici concorrenti dell’Unione Sovietica, ma l’Italia, come già faceva in campo Nucleare Civile, dove era al terzo posto per potenza elettrica installata, era in grado di dare un valido contributo anche alla ricerca e allo sviluppo nel settore spaziale, da poco coordinato dall’Agenzia Spaziale Europea ESRO (oggi ESA). Il controllo a distanza di oggetti, allora relativamente minuscoli, orbitanti a centinaia (e oggi migliaia) di kilometri, esigeva un sistema di scambio di informazioni tra terra e spazio anzitutto miniaturizzato e poi con una capacità di elaborazione di dati (in tempo reale) in quantità, precisione e affidabilità mai sperimentate prima. Provvidenziale furono la scoperta e l’impiego di “materiali semiconduttori”, che sostituirono ovunque l’elettronica delle ingombranti “valvole” a tubo catodico; e determinante, per velocità e capacità di elaborazione delle informazioni, fu il calcolo a base binaria, che sostituì quello a base decimale in uso da millenni.
In questo scenario di enormi trasformazioni scientifiche e tecnologiche incominciò la carriera dell’ing. Bonanni, che dovette accantonare gran parte delle nozioni appena apprese all’università, mettendosi a studiare queste assolute novità non ancora comprese nei piani di studi ministeriali. Gli stessi studi venivano condotti anche a Milano nelle Università e al CNR, dove operavano eminenti personaggi con cui il giovane ingegnere romano venne a contatto. Fra questi il prof. Umberto Pellegrini, fisico e informatico, che gli propose un incarico di rilievo nella ditta di cui era direttore: la Laben-Montedel (gruppo Montedison), la cui sede in via Bassini (Città Studi), era condivisa con la sezione più importante del CNR milanese, dove già operavano gli astrofisici Giuliano Boella e Nanni Bignami.
In Laben l’ing. Bonanni aveva il compito di aggiornare le tecnologie usate nella strumentazione elettronica per l’analisi delle radiazioni, ma soprattutto di potenziare il reparto di elaborazione dati e di avviare un nuovissimo “reparto spaziale”, per arrivare in poco tempo a partecipare ai grandi progetti nazionali ed europei, impresa che egli realizzò assumendo ingegneri (nucleari) e molti periti elettronici e nucleari, quasi tutti provenienti dall’ITIS Feltrinelli, allora il migliore in Italia. L’accesso alle opportunità offerte dai programmi spaziali italiani e europei fu ottenuto grazie alla fiducia concessa (e ben meritata) al giovane ingegnere da più anziani amici e compagni di studi (romani) che già occupavano posizioni di rilievo nella ditta Selenia (oggi Thalès-Alenia) e nell’Agenzia Spaziale Europea (oggi ESA). Per diventare un’Impresa Spaziale il piccolo laboratorio affidato all’ing. Bonanni doveva essere completato con un Reparto per il Controllo di Qualità e con una Camera Bianca (Clean Room) in cui operavano cinque o sei operaie specializzate nella saldatura dei primi componenti a semiconduttori, allora denominati “micrologici”. I contenitori e i supporti meccanici venivano realizzati in una piccola officina nel sottoscala e consegnati alla Clean Room per l’assemblaggio finale e il collaudo. Pur conservando la sua attività commerciale di strumenti nucleari e parallelamente sviluppando l’innovativo e storico (mini)computer LABEN70, la partecipazione della Laben ai programmi spaziali europei con la nuova elettronica fu subito una realtà, a partire dalla missione italiana SIRIO (lanciato nel 1977) ideata dal prof. Carassa proprio per studiare il comportamento delle comunicazioni tra Terra e Spazio alle altissime frequenze (12 Ghz).
Anche l’attività commerciale riguardante i contratti spaziali era affidata all’ing. Bonanni con piena indipendenza dal marketing nucleare e informatico; ben presto l’inserimento della Laben in uno dei tre grandi consorzi europei che si contendevano i contratti per le intere missioni garantì la presenza di elettronica italiana in tutti gli apparati spaziali di terra e di volo, sia per le telecomunicazioni, sia per l’esecuzione di esperimenti scientifici in condizioni di assenza di gravità.
Entro il 1974 la rinnovata Laben di via Bassini raggiunse così tutti gli obiettivi attesi dal prof. Pellegrini, nonostante il giovane ricercatore che l’aveva introdotta nello Spazio fosse stato colpito da gravi lutti familiari e avesse subìto l’asportazione di un rene. La posizione nel mercato spaziale della Laben era ormai così solida da poter assorbire senza gravi conseguenze la crisi causata dalla cessazione della produzione di minicomputer e di strumentazione “industriale” ad esso associata. La ripresa fu tale che personale e infrastrutture (dedicate a sottosistemi sempre più complessi) non poterono più trovare posto nella sede di via Bassini e dovettero essere trasferite (nel 1985) a Vimodrone, una decina di km a N-E di Milano.
Nel frattempo l’ing. Bonanni considerava conclusa la “missione” assegnatagli dal prof. Pellegrini e, in seguito a un incontro fortuito sui campi di sci, ricevette un’allettante proposta dall’ingegnere italo svizzero (abitava a Zug) Riccardo Gavazzi desideroso di aggiungere alle sue numerose attività industriali (fra cui spiccava l’impiantistica navale) anche quella spaziale. Scelti quattro o cinque fra i suoi collaboratori più anziani e più fedeli, nel 1981Bonanni si trasferì con essi in una sede milanese della Carlo Gavazzi SpA in cui riprodusse il medesimo processo di “spazializzazione”, e con lo stesso successo, operato in Laben dal 1963, tanto che in 15 anni dovette cambiare tre volte la sede (in zona San Siro-Certosa) per adeguarla alla continua crescita del personale e delle infrastrutture. L’operazione gli riuscì nonostante la stupida guerra che gli mosse la Laben (che dal successo di Bonanni non avrebbe patito nessun danno) per motivi non propriamente commerciali; la nuova “Carlo Gavazzi Space” (CGS) si accontentava infatti di partecipare ai progetti nazionali (e fu anche Capocommessa per il satellite MITA) o di equipaggiare di elettronica e di supporto a terra solo i “Carichi Utili Scientifici” (esperimenti automatizzati) di missioni internazionali, possibilmente della Stazione Spaziale Internazionale ISS o di altri laboratori orbitanti (per esempio installò esperimenti su EURECA-European Retrievable Carrier). Comunque l’avventura di Bonanni con Gavazzi si concluse in modo imprevisto quando Gavazzi per motivi finanziari fu costretto a cedere alcune delle sue attività e ne approfittò un astuto imprenditore tirolese naturalizzato tedesco, Manfred Fuchs, il quale vantava, fra le tante, delle “benemerenze spaziali”, avendo a suo tempo contribuito ad abbozzare il fantomatico Progetto Columbus, che fallì, mancando all’appuntamento con l’inaugurazione fissata per il 1992, mezzo millennio dopo la scoperta dell’America. Con queste credenziali si appropriò di CGS e la trasformò in una divisione italiana del suo OHB Group, col pretesto che così avrebbe avuto accesso anche ai programmi spaziali tedeschi, più ricchi di quelli italiani. Bonanni, che per tutta la vita si era impegnato in dispute tecnico-scientifiche (ottenendone i dovuti vantaggi commerciali) non manifestò entusiasmo per queste manovre e dal nuovo padrone fu mandato in esilio per tre anni a Brema, con gli appropriati indennizzi, ma di fatto togliendogli il controllo di CGS. Al raggiungimento dell’età pensionabile (1997) dette le dimissioni e per non perdere ogni contatto con la tecnologia si cimentò per diletto nella progettazione e prototipazione di apparati elettronici biomedicali miniaturizzati, ma rifugiandosi sempre più spesso in campagna nella antica tenuta di famiglia presso Rieti, dove tornò ad apprezzare la vita all’aria aperta dell’agricoltore; una vita dura che verso gli 80 anni gli presentò il conto compromettendogli il pur forte cuore.
Uno dei suoi tre figli, Lorenzo, ingegnere elettronico, da quasi 30 anni segue le orme del padre in ambito spaziale, anche come responsabile delle stazioni elettroniche di terra che controllano i lanciatori europei nella base spaziale di Kourou in French Guyana.
L’impegno quasi maniacale per qualunque lavoro intrapreso non impedì ad Angelo Bonanni dì esprimersi al meglio in tutte le virtù umane: amatissimo padre di famiglia (e nonno), dirigente d’azienda severo ma attento alle necessità e alle esigenze dei collaboratori, tollerante con i rivali (quasi tutti sbaragliati), evitò fermamente di ricorrere a protezioni politiche, fu sempre timido e schivo anche nei momenti di maggior successo, senza sfruttare i vantaggi di una cultura (e di un ceto) superiori.
Per questo i suoi amici e colleghi, anche per informare i Milanesi di avere avuto un tale illustre concittadino, ritengono di dedicargli questo ricordo in occasione del primo anniversario della morte.

 

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