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ECCO PERCHÉ IL DIO DEGLI EBREI NON È QUELLO DEI CRISTIANI

di Andrea Guenna (terza ed ultima puntata – tratto dal mio nuovo libro sui Templari che uscirà entro il 2016; per leggere la seconda puntata cliccare qui http://www.alessandriaoggi.info/index.php?option=com_k2&view=item&id=4132:ecco-perche-il-dio-degli-ebrei-non-e-quello-dei-cristiani&Itemid=108). A tutti i figli della Luce è data la possibilità di pentirsi, di redimersi e di convertirsi rimediando a quel difetto di fabbricazione che ha generato in noi tutti i peccati. Questo nuovo mondo e il suo divenire, messo a contatto con la stima dei valori umani del tempo, oltre che a sovvertire anche questi e ad imprimere, come abbiamo visto, nuove oscillazioni al pendolo della storia in forza di ondate di misticismo e di razionalismo, segna anche la diffusione e la profondità dello spirito religioso, in fase ascendente verso l’ascetismo, in fase discendente verso un razionalismo ed un materialismo primitivi. 
Ecco che il cristianesimo ebbe a cambiare anche il rapporto dell’uomo con Dio, che si fece prima implosivo e subito dopo esplosivo secondo la nuova oscillazione centripeta del pendolo uguale e contraria ad una successiva oscillazione centrifuga. Ciò appare chiaro nell’architettura dei luoghi sacri che seguirono prima l’oscillazione centripeta con lo stile romanico e poi centrifuga con lo stile gotico. Nel primo le dimensioni delle chiese e delle abbazie sono ridotte e costringono il fedele all’introspezione, a trovare Dio in se stesso, verso la luce interiore. Nel secondo le dimensioni “esplodono” e tendono a Dio, la fede esce dall’uomo per andare verso la Luce esteriore.
Da qui a Lutero, la cui Riforma ha impresso un crescendo continuo alla cultura che ha generato lo spirito di ricerca scientifica, che ha influenzato anche il  nostro Rinascimento, che ha dato slancio ad una nuova era in cui le oscillazioni pendolari si sono fatte più ampie e più lente, mentre l’uomo oscillava tra la visione centripeta e centrifuga della vita (dicotomia romanico-gotico). Tuttavia alle prime scoperte degli scienziati italiani del cinquecento corrispose un inaridimento dell’attività religiosa in generale e della Chiesa Cattolica in particolare.
Oggi l’uomo si accorge di nuovo di non poter fare a meno di Dio. Sì, ma quale Dio? Le statistiche ci dicono che i giovani sono affascinati da Gesù e dalla sua dottrina, che consente di rompere gli steccati della consuetudine che ha offuscato la Luce originaria. Nel terzo millennio l’uomo desidera riprendere il cammino proprio dei primi cristiani, facendolo in ambito iniziatico, propizio ad elevarlo a livelli spirituali irraggiungibili nel mondo profano. Infatti tutto ciò che è buon senso nella vita profana non serve in una vita da iniziati. La diligenza del buon padre di famiglia, quando è conforme alla consuetudine, che è sempre relativa a differenza della verità che è assoluta, non serve all’iniziato che la supera proiettandosi in un’oscillazione centrifuga verso il cosmo. Ciò perché il buon senso è mutevole al cambiare della società mentre l’ambito iniziatico supera i concetti immanenti e cerca le verità trascendenti tendendo finalmente a Dio, l’Onnipotente, il Principio, il Logos, che è l’Assoluto, che sta sopra.
E siamo allo scandalo, al linguaggio incomprensibile per un profano che, per esempio, con dabbenaggine favorisce ipocritamente il matrimonio della figlia con un buon partito, festeggia la nascita di un figlio che salverà un matrimonio in crisi, riverisce più o meno una persona a seconda del potere o del conto in banca che ha, facendo propri concetti privi di significato e inutili per l’iniziato che nella vita profana li adotta solo per sopravvivere, ma dei quali si libera in quella iniziatica perché frutto della materia, concetti che nascono e muoiono senza ispirarsi alla verità che è una, e che sta al di sopra di tutto. Una verità che è diversa dalla consuetudine, una verità che ci è tramandata e svelata da simboli unici, universali ed eterni.
I templari ne colgono il significato secondo lo spirito di finezza, nel loro complesso, anche se un po’ alla volta, ciascuno nei tempi e nei modi che gli sono propri. E anche qui non v’è analogia tra la vita iniziatica e quella profana nella quale l’esperienza è generata dallo spirito di geometria, nella quale bisogna far presto per arrivare prima dei concorrenti mettendo uno davanti all’altro, in ordine geometrico, tutti i traguardi da superare per arrivare in cima alla piramide, anche se si arriva male, per cui molte volte chi eccelle nel mondo, ovvero il profano dal latino pro “davanti” e fanum “tempio”, cioè che sta davanti al tempio che sta fuori del tempio, varcata la soglia templare non può far valere le stesse qualità che valgono fuori e deve ripartire da zero per rinascere, perché con quelle non eccelle nel Tempio, e viceversa. Ecco perché il simbolo può essere colto dal povero e non dal ricco, dal debole e non dal forte. Anche qui il pendolo oscilla e bisogna fare una scommessa tra sacro e profano, tra symbolon che è ciò che unisce, e diabolon che è ciò che divide.
Prendiamo l’esempio di Mozart, insieme a Bach, tra i più grandi geni musicali di tutti i tempi. Fu reietto, incompreso, emarginato, ma, come Bach, era un grande iniziato, vittima del perbenismo e della consuetudine. Se fosse stato un po’ più compiacente, un po’ più profano, con la sua intelligenza e la sua abilità avrebbe fatto una carriera folgorante e duratura, sarebbe stato ricchissimo, avrebbe conosciuto il successo e la stima dei suoi contemporanei. Ma così non è stato perché Mozart, come Bach, sapeva qual era la strada che portava alla Verità e non voleva rinunziarvi.
Per seguire la Verità e cogliere la realtà che ci circonda, se si è templari, si compie un’ascesi che aiuta a combattere senza paura ed a comprendere ciò che non si può spiegare, quindi insegnare, ma che si può solo imparare. Esattamente come fa Pascal con lo “Spirito di finezza”, contrapposto al più consueto e logico “Spirito di geometria” tanto caro a Cartesio, quando dice che i principi della matematica sono indimostrabili se non se ne coglie il significato simbolico soprattutto con l’aiuto del cuore, lasciando perdere lo spirito di geometria che è la ragione scientifica che ha per oggetto le cose esteriori e procede empiricamente. Lo spirito di finezza ha per oggetto l’uomo e si basa sul sentimento, sull’intuizione, su Dio Onnipotente. Quello “Spirito di finezza” proprio degli iniziati, mentre lo “Spirito di geometria” è proprio dei profani.
Ora qualcuno può obiettare che la geometria fa parte dell’impianto templare, e ciò è vero, ma non è la geometria in sé, piuttosto il modo di intenderla attraverso lo spirito di finezza che distingue una visione iniziatica da una visione profana. Geometria come mezzo e non come fine, geometria che non si spiega ma si apprende, funzionale all’applicazione dello spirito di finezza per il quale i simboli si “sentono”, si provano, ancorché si stenti moltissimo a descriverli, immersi come sono in un cocktail di suoni, luci, figure e profumi che si fondono, come tutti i colori si fondono nel bianco che è il loro simbolo da symbolon, e si disgregano nel nero che è il diavolo da diabolon.
“Fratelli miei, state attenti alle ore in cui il vostro spirito vuole parlare per simboli: allora, nasce la vostra virtù” (Nietsche: Così parlò Zarathustra). Pascal dimostra che i numeri, che sono simboli, sono trascendenti e proprio per questo motivo si capiscono col cuore che sente e non con la mente che vede e non li comprende se non abbinati ad una cosa (un mattone, un bicchiere, una mela). Per Pascal uno è uno e basta, ma per afferrarne il significato assoluto bisogna cercare, non tanto le verità (un mattone, un bicchiere, una mela), quanto la Verità, non Eloha Yahweh, ma il Principio, il Padre, l’Onnipotente, l’Assoluto, da cui ci vengono le risposte che cerchiamo, non attraverso la mente che non le può contenere, ma attraverso il cuore, l’amore, che è infinito e le contiene tutte.
Qualcuno ha detto che il peso specifico dell’anima è l’amore, quell’amore che ci fa leggeri e che ci porta sempre più in alto verso la Luce. Quell’amore che dona la spinta iniziale e la forza per andare avanti, quella forza che è verità, una verità che risiede nella capacità di individuare ciò che piace, ciò che è più bello, esattamente come accade per la musica, quando due melodie, perfette dal punto di vista strutturale e compositivo, entrambe rispettose delle più ferree leggi del contrappunto (secondo lo spirito di geometria), non sono ugualmente belle (secondo lo spirito di finezza). “La bellezza salverà il mondo” si legge ne L’idiota di Dostoevskij.
Ecco perché i templari lavorano sul Vangelo di San Giovanni. Perché parla di Bellezza, di Verità, di Amore, perché conduce con lo spirito di finezza all’ascesi dovuta anche ad una certa ritualità che consente di raggiungere stadi di yoga collettivo che favoriscono l’eggregore – o anche eggregora – indispensabile per essere in consonanza col Sacro. La ritualità, a questo punto, è sostanziale e non più formale. Non è la ritualità liturgica della chiesa cattolica che l’ha ereditata dai cerimoniali mitraici e pagani, rivolta ai fedeli, alla massa, ma una ritualità aristocratica, rivolta ai templari stessi, implosiva, centripeta, monastica, capitolare, che si realizza quando il pendolo disegna il cerchio piccolo che delimita il perimetro del Tempio.
Il Sommo Maestro privilegiava lo spirito di finezza pur facendo della matematica, anzi, dell’algebra, meglio ancora del principio contabile del dare e dell’avere applicato all’amore, la stella polare della sua dottrina: “Rendete dunque a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio” (Mt.: 22 – 21). Nel Padrenostro si legge: “Rimetti a noi i nostri debiti come noi li rimettiamo ai nostri debitori”, che non è altro se non una partita di dare-avere. Gesù ha assolto la Maddalena, salvandola dalla lapidazione, applicando una regola algebrica, economica e retributiva del dare-avere: “Chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Giovanni: 8; 1-11). Ecco che si spiega come si possa amare con la mente e ragionare col cuore, teorema caro sempre al nostro Blaise Pascal. Con la mente, cioè con la matematica, Gesù ci ha insegnato a pregare al contrario di Yahweh che, da quel che si legge nei testi sacri, ha dimostrato di non saper amare se non se stesso e per la nostra mente ha riservato solo delle norme da rispettare.
Alla fine resta una domanda: quale Dio? Quello del tetragramma impronunciabile o quello descritto da Giovanni nel suo Vangelo che apriamo ogni volta che iniziamo i lavori e davanti al quale ci prostriamo?
Ci soccorre ancora una volta Pascal quando scrive: “È il cuore che sente Dio, e non la ragione. Ed ecco che cos’è la fede: Dio sensibile al cuore, non alla ragione” (Pensieri: 278). Ma sentire col cuore è proprio delle persone semplici (beati i poveri in spirito) il che non vuol dire ignoranti, ma senza malizia (dite sì e no, il resto viene dal maligno). “In quel tempo Gesù disse: Ti benedico, o Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai sapienti e agli intelligenti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così è piaciuto a te” (Matteo: 11; 25, 26).
Anche questo è uno splendido messaggio iniziatico, direi anche prettamente capitolare, perché Gesù dice chiaramente che la fede e l’ascesi non sono dimostrabili da teoremi ma si fanno proprie col cuore e con la pratica iniziatica che è indefinibile in quanto mistica. Il piano divino sembra essere nascosto ai saggi e agli intelligenti, ai teologi e ai sottili studiosi, a loro è solo rivelato, cioè velato due volte, ma è svelato agli iniziati, ai puri di cuore, ai poveri in spirito. Il Vangelo non è roba per intellettuali ma per iniziati, che sono semplici come i simboli che, pur nella loro essenzialità, restano inesplicabili ai profani ma non agli iniziati che ne colgono il senso. Non a caso sono stati proprio gli intellettuali e i teologi del tempo di Gesù che hanno rifiutato il Vangelo, che non sono riusciti a capirne il messaggio. Ciò non significa che per capirlo bisogna diventare ignoranti, Gesù infatti non dice: Ti ringrazio, Padre, perché hai nascosto queste cose ai saggi e agli intelligenti e le hai rivelate agli sciocchi, a quelli che con un eufemismo chiamiamo i “semplici“. No, come abbiamo visto il Maestro usa un’altra categoria, quella dei “piccoli”, una categoria che ricorre spesso nei Vangeli e che è affine a quella dei “poveri” e dei “poveri in spirito”. Non propone la stupidità, la semplificazione al posto dell’intelligenza. Egli contrappone i semplici ai saggi e agli intelligenti, cioè a coloro che hanno un atteggiamento di autosufficienza, di estrema sicurezza, di potere. Gesù è coi “piccoli” che sono quelli che non hanno nessuna certezza e che sono disposti a lasciarsi condurre da Lui, così come un bambino si affida al padre. Che sono quelli che vanno avanti perché cercano.
Il Sommo Maestro allude ai 12 Apostoli del “Suo Capitolo” ai quali, di nascosto, diceva la verità mentre ai profani parlava per parabole e si raccomandava che nulla fosse svelato ai profani: “Un giorno, mentre Gesù si trovava in un luogo appartato a pregare e i discepoli erano con lui, pose loro questa domanda: Chi sono io secondo la gente?  Essi risposero: Per alcuni Giovanni il Battista, per altri Elia, per altri uno degli antichi profeti che è risorto. Allora domandò: Ma voi chi dite che io sia? Pietro, prendendo la parola, rispose: Il Cristo di Dio. Egli allora ordinò loro severamente di non riferirlo a nessuno”. (Luca: 9; 18-21).
Gesù, attraverso il Vangelo di San Giovanni parla ai templari perché sono semplici, fragili perché “poveri in spirito” ma allo stesso tempo forti. A loro può, credo, essere svelato il senso del Vangelo di San Giovanni, che è la Legge, grazie al quale si trova la strada perduta (Fine).

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