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Picchiato in casa, sequestrato per ore e pestato davanti ai suoi amici

Arenzano – Sono finiti dentro tre dei quattro latitanti (uno era già stato arrestato a maggio), responsabili dell’aggressione di un giovane di 20 anni responsabile, secondo loro, di non aver pagato qualche dose di droga. Le manette sono scattate per i fratelli Giacomo e Juli-An Misael Ubilla Herrera, di 21 e 25 anni e Josè Brandon Lopez Aguayio, 21 anni. Il primo a essere arrestato a maggio era stato Samuele Pugliese, 21 anni. Lo hanno pestato davanti ai suoi amici, presentandosi a casa coperti da passamontagna e bandane, picchiandolo brutalmente, utilizzando anche un tubo di ferro. Emergono ulteriori dettagli dai fatti di cronaca dello scorso marzo ad Arenzano, dove quattro giovani hanno aggredito un coetaneo, pestandolo in casa, prima di rapirlo, costringerlo a salire in auto verso un casolare di Certosa, dove le sevizie sono continuate per diverse ore. I Carabinieri della compagnia di Arenzano sono riusciti a ricostruire i fatti anche grazie alle testimonianze degli amici della vittima che hanno assistito impotenti al pestaggio, capendo che dietro alla furia dei quattro c’era un pregresso debito di droga. “Lo sapevi che saremmo arrivati… perché non hai pagato”, diceva uno degli aggressori. “I soldi, tira fuori i soldi”, ripeteva un altro. Secondo quanto ricostruiscono i militari, nella tarda serata del 5 marzo, a Masone, quattro individui col volto travisato con passamontagna, s’introducevano all’interno dell’abitazione d’un ventenne di origine sud-americana e, colpendolo con calci e pugni e minacciandolo con bastoni e coltelli, mettevano a soqquadro l’intera abitazione impossessandosi poi di telefoni cellulari, tablet ed altri valori presenti in casa e di proprietà della vittima. Successivamente i quattro malviventi lo costringevano a salire a bordo dell’auto della quale si erano serviti per il raid punitivo, e dopo avergli bendato gli occhi e legati i polsi con del nastro adesivo, l’hanno condotto in un casolare abbandonato nel quartiere di Genova Certosa dove continuavano a percuoterlo causandogli la rottura della mascella e del naso nonché contusioni multiple giudicate guaribili in trenta giorni. Il giovane, liberato solo dopo alcune ore, veniva rintracciato presso la stazione ferroviaria di Sampierdarena, dai Carabinieri del Nucleo Operativo di Arenzano che nel frattempo erano stati allertati dalla madre. Nel corso delle attività investigative si è appurato che l’episodio era riconducibile ad un pregresso debito, che la vittima aveva assunto nei confronti dei rei e mai saldato, per la fornitura di sostanze stupefacenti. Attraverso le attività tecniche svolte, quali l’analisi delle telecamere di videosorveglianza e dei tabulati telefonici, nonché attraverso ripetuti servizi di osservazione, controllo e pedinamento unitamente all’escussione di vari testi collegati all’evento ed al mondo delle gang giovanili, venivano identificati compiutamente tutti i responsabili della vicenda, ricostruendo un quadro probatorio ed indiziante che consentiva, la mattina dell’8 maggio, di procedere al fermo di p.g. del proprietario dell’autovettura utilizzata nell’episodio delittuoso, poiché prossimo a trasferirsi all’estero. L’attività investigativa, a fronte del citato provvedimento, non si fermava procedendo, anzi, con maggiore impegno ed efficacia, permettendo di chiudere il cerchio intorno a tutti i responsabili della vicenda che, a pochi giorni di distanza, venivano assicurati alla giustizia. Difatti le risultanze investigative raggiunte dalla p.g. operante consentivano l’emissione di un’ordinanza di custodia cautelare in carcere che, sotto la direzione della Procura della Repubblica di Genova, titolare dell’indagine, consentivano il giorno 13 settembre, di rinchiudere due degli altri indagati presso il carcere di Marassi, mentre il successivo 19 settembre anche il quarto sequestratore, che nel frattempo si era spostato a Roma, grazie ad una sinergica attività investigativa di concerto con il personale dell’Arma operante nella Capitale, veniva rinchiuso presso il carcere di Regina Coeli. Tra gli indagati, ventenni nati in Italia ma di origine sud-americana, un ruolo primario era svolto da due fratelli noti con i soprannomi rispettivamente di “Washington” e “Quality” con i quali erano soliti graffitare, per delineare il possesso del territorio, i muri del loro quartiere vantandosene poi sui social network ove, tra l’altro, non solo mostravano di avere disponibilità di sostanza stupefacente ma, in più occasioni, si filmavano durante il consumo della stessa. Nel corso delle successive perquisizioni è stata altresì rinvenuta sostanza stupefacente nonché un video amatoriale particolarmente violento, condiviso sui canali social e mostrato come vanto a diverse persone, nel quale gli stessi si filmavano durante alcune fasi del sequestro e del pestaggio della vittima.

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