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Ex Ilva: viale del tramonto?

Novi Ligure – È nata a metà ‘800 grazie alle famiglie novesi Bonelli e Cavanna. In un primo momento si chiamava La Ferriera, poi, dopo pochi anni Ilva, il nome latino dell’Isola d’Elba, dove esistono molti giacimenti di ferro. E qui, a Novi, ha iniziato a operare nel settore siderurgico diventando il fiore all’occhiello dell’Italia produttiva post risorgimentale. Oggi non si chiama più Ilva, dopo essere stata Italsider e poi di Nuovo Ilva, infine Arcelor Mittal e ora Acciaierie d’Italia. Un tempo a Novi si diceva in dialetto: “Chissà s’im pija da Pernigòti [chissà se mi prendono da Pernigotti]” ma anche: “Chissà s’im pija a l’Ilva [chissà se mi prendono all’Ilva]”. Oggi la Pernigotti – nonostante quello che dichiara il sindacalista di turno – è morta e l’Ilva è moribonda, per cui c’è il fuggi fuggi generale perché i dipendenti (quelli rimasti) scappano appena trovano di meglio. Da quasi 2.000 dipendenti degli anni sessanta e settanta, all’ex Ilva sono rimasti in 600 e siamo al record minimo di produzione, non arriva materia prima perché non ci sono soldi per comprarla, mentre prosegue la cassa integrazione. Investimenti zero e scarsa sicurezza.
Intanto dal Governo arriva una fumata nera: sulla vertenza ex Ilva, i leader di Fim Fiom Uilm e Usb non trovano a palazzo Chigi quell’attenzione che servirebbe per evitare che a breve il gruppo possa andare in seria crisi per mancata produzione, per cui ci saranno 24 ore di sciopero nello stabilimento di Taranto. La fragorosa caduta della fabbrica pugliese avrebbe inevitabilmente ripercussioni a cascata sugli stabilimenti che lavorano l’acciaio, a cominciare da Cornigliano e Novi Ligure. Non a caso, la notizia della fumata nera alla fine dell’incontro romano fra governo e sindacati, ha subito messo in allarme anche la Liguria. Lunedì è già stata fissata dai sindacati un’assemblea davanti ai cancelli di Cornigliano per decidere le iniziative di lotta. Tutto ciò mentre il presidente di Acciaierie d’Italia Franco Bernabè (nella foto) ha rimesso il mandato nelle mani della premier Meloni, ed è un pessimo segnale.

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