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LO SPRECO DELLE PISTE CICLABILI

di Guido Manzone – La categoria a cui va tutto il nostro disprezzo è quella degli ottimisti ad ogni costo. Coloro per cui il bicchiere è sempre pieno che tutti conosciamo assai bene. Per loro, negli eventi della vita, bisogna vedere e pensare  solo in positivo poiché la differenza tra il bene ed il male è unicamente un “giochetto” psicologico. Con questo agire la menzogna finisce di fare aggio sul vero e la parola diventa strumento di dominio del colto sull’incolto.  Caratteristica di questa infame categoria è il trovare la soluzione ad ogni male con il semplice artificio di distoglierne l’opinione pubblica. Lo facevano già i Romani con i giochi e gli spettacoli di gladiatori nel Circo Massimo, lo rifecero i Bizantini con le corse di bighe, mentre nel Medio Evo, guidato da una visione religiosa del mondo, svolgevano la stessa funzione cerimonie e processioni di massa. Oggi identico ruolo, quantomeno in Italia, è svolto dal calcio in cui gli spettatori alle partite più importanti sono arrivati a superare i sette milioni. Un amico politico ci ha spiegato come in questo periodo in cui l’edilizia è ferma e architetti, geometri e imprenditori sono alla fame, gli enti pubblici siano assediati da torme di faccendieri, questuanti e venditori di voti ognuno con la propria “proposta vincente”. In Piemonte, mentre diminuiscono reddito, popolazione e lavoro, si è pensato (ma che geni!) di compensare il tutto con le piste ciclabili che riguardano non solo l’intera Regione,  ma a fine mese ne sarà costruita una tra Torino e Venezia. Sui giornali del Nord è già stata messa in moto la macchina pubblicitaria (a pagamento?) che dovrà trovare un sostegno pubblico a questa autentica follia. Neanche durante la guerra vi fu un tentativo di trasporti, sia pubblici che privati, su distanze così lunghe. Si cercò solo di trasferire la posta in bicicletta, ma fallì miseramente. Capiamo che dire ai politici piemontesi, e  a quanto pare anche a quelli veneziani, di leggere e studiare è considerato un insulto inaccettabile. Se si facessero un minimo di cultura di settore scoprirebbero che la distanza massima percorribile per l’uso della bicicletta come mezzo di trasporto è di circa 15 chilometri. E per di più su strade in piano. Oltre le Alpi, nei civili paesi europei, nonostante il clima meno favorevole del nostro, le piste ciclabili funzionano benissimo. Come mai? Funzionano perché sono state ricavate da urbanisti, con i piani regolatori che ne hanno tenuto conto al momento di progettare le città. Inoltre in città come Berlino un terzo del territorio è a parco ed è tutto assolutamente in piano con percorsi privilegiati e posteggi. In Piemonte, almeno la metà delle previste piste ciclabili, dovrebbe essere ricavata su strade in salita la cui percorrenza sarebbe già difficile per un utente allenato. Figuriamoci per un persone comuni, che fanno l’impiegato al catasto o il tornitore alla Breda. Il risultato sarà uno solo: le piste ciclabili saranno realizzate, i politici ne trarranno guadagni, sia leciti che illeciti, e poi saranno abbandonate, come già oggi avviene per quelle esistenti. Il costo di questo bel giochino è di centinaia di milioni per la gioia di alcune decine di sportivi. Abbiamo cercato di sapere quanto sono usate le costosissime piste ciclabili presenti nella città di Alessandria. Risposta: praticamente da nessuno. Lo stesso è avvenuto per quelle in provincia. Ad esempio, sulla pista ciclabile che va a Castellania (paese natale di Coppi) in tutti questi anni non si è visto nessuno se non alcuni sportivi in allenamento. Ovviamente l’esca della trappola è sempre la più appetitosa. Si sta facendo scrivere sui giornali che questa nuova pista ciclabile permetterà guadagni per cento milioni (a  chi ?)  mentre la rete sull’intero Piemonte potrà ridurre ed assorbire dal 10 al 15% degli spostamenti. Sono dati assolutamente inventati, senza nessuna prova e può credere alla loro veridicità solo uno stupido o un politico ottenebrato dalla speranza delle tangenti. A quanto pare non è stata tratta alcuna lezione dall’avere perso la città di Torino.

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