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SAN RAFFAELE: IL BENE A FIANCO DEL MALE

Per un osservatore superficiale la vicenda del San Raffaele, compresa la sospetta dipartita del suo fondatore don Verzè, seguita di poco al suicidio del suo vice, pare riportare ai fasti del Rinascimento, quando il bene marciò in modo inusitato a fianco del male, in un contesto mirabile di sviluppo e di degradazione morale. Anche il tracollo economico del San Raffaele, avvenuto per follia imprenditoriale e delirante sperpero personale, è coerente a quei tempi quando persino il Papa Innocenzo terzo arrivò al punto di ipotecare la tiara pontificia per finanziare le fastose nozze del figlio. Ugualmente il laico duca di Mantova vendette la piazzaforte di Casale per procurarsi i denari per festeggiare il Carnevale. Altra apparente similitudine è la sordità dei protagonisti di queste vicende a qualsiasi ammonimento volto ad arrestarne la marcia verso l’abisso, come obbligata da un destino già scritto. Fu l’inarrestabile richiesta di denaro dei papi per la costruzione di San Pietro a provocare lo scisma protestante. E così una seppur bella piazza fu pagata con la folle perdita dell’intero nord Europa. In compenso in quella sentina di ogni male (la definizione non è di un leghista, ma di un papa contemporaneo) che fu Roma e l’Italia rinascimentale, si ebbe un incredibile, e mai più ripetuta, fioritura di artisti, scienziati, architetti e letterati con sconvolgenti conseguenze che fecero dell’Italia il primo paese d’Europa ed influirono sui destini del mondo. Nell’Italia di oggi, la cui corruzione e disonestà non sono certo inferiori a quelle rinascimentali, non troviamo nulla di tutto questo. La nostra classe di potere non ha nulla di luciferino, di grande, se non il male. A ben vedere l’ospedale San Raffaele è solo un buon ospedale a livello europeo. Evento per noi eccezionale e motivo di meraviglia, ma del tutto normale al di là delle Alpi. Per questo motivo siamo portati a declassarlo dai fasti del rinascimento riportandolo, assieme ai politici che lo sostenevano, al livello del Brasile degli anni 70 quando, nel rubarizio e nella generale paralisi operativa, un deputato fu eletto tra gli applausi e l’ammirazione dopo essersi presentato alle elezioni con lo slogan “Vota Lacerda, ruba ma lavora”.

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