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LA NEVE E L’INFAMIA

Qualcuno dovrebbe gentilmente spiegarci la differenza tra la neve italiana e quella europea, in particolare tedesca e svedese, e perché oltre le Alpi anche con 20 gradi sotto zero e più di un metro di neve tutto funziona, mentre da noi per pochi centimetri si blocca ogni cosa tra i guaiti angosciati di sindaci e giornalisti. Poiché non è la prima volta che nevica in Italia, nonostante il passare degli anni ricordiamo assai bene che un tempo non era così! Almeno nel nord del Paese, anche quando nevicava, a parte qualche disagio, si viveva come sempre in inverno. Gli unici a subirne conseguenze veramente drammatiche, ieri come oggi, erano i barboni trovati assiderati in ripari di fortuna vanamente avvolti in vecchi giornali. I cronisti nel narrare queste dolorose vicende, sotto un apparente velo pietistico celavano sempre una severa lezione morale e l’invito alla disciplina di un’esistenza normale. I treni avevano i ritardi di sempre, ma niente di più. Nei vagoni si gelava o si moriva dal caldo, ma anche questo era normale, con o senza neve. In compenso arrivavano sempre, talvolta spinti da una doppia motrice per farsi strada tra i cumuli di neve sui binari. Nessuno, nemmeno nelle valli alpine, si sarebbe mai sognato di chiudere le scuole e gli uffici, e la neve non era una scusa per arrivare in ritardo, né a scuola né al lavoro. Il rimprovero in questi casi era: ”Dovevi partire prima”. Le strade venivano spalate dai disoccupati che attendevano la neve come la manna dal cielo e per settimane ne spiavano l’arrivo. I marciapiedi erano sgomberati dai proprietari degli edifici prospicienti. I tram andavano sempre, come del resto i telefoni. Se non si erano arrestati nemmeno quando dal cielo piovevano le bombe non si facevano certo bloccare per la caduta di un po’di neve. In quegli anni, subito dopo la fine della guerra, era normale gelasse il Tanaro ad Alessandria e che tutti vi andassero a scivolare sul ghiaccio. Ma i più contenti erano i ragazzi poiché nella neve ci giocavano senza limiti e tiravano palle di neve alle ragazze che non si divertivano per niente, anche perché il freddo e più ancora le madri previdenti imponevano loro terrificanti corpetti e mutandoni di lana. Le donne, specie delle classi più elevate, dal canto loro, avevano sempre i piedi gelati poiché una moda idiota le costringeva a portare scarpe leggere e non si erano ancora rese conto di che liberazione fossero gli stivali. Anche la scuola faceva il suo dovere. Le maestre, che avevano un concetto pratico dell’insegnamento, spiegavano quanto utile ed indispensabile fosse la neve, senza la quale saremmo morti di fame perché proteggeva il grano dalle gelate e sciogliendosi alimentava i fiumi e le falde sotterranee dei pozzi mentre ricolmava i bacini delle dighe permettendo di produrre elettricità anche durante l’estate. E tutti erano sereni. E anche se un po’ infreddoliti si sentivano partecipi del divenire di una natura benigna e favorevole all’uomo benché bisognasse risparmiare sul riscaldamento essendo molto più poveri di oggi. Quanto detto motiva come mai ci sia venuta voglia di spegnere il televisore quando la popputa cronista, specializzata in banalità climatiche (la stessa nei cui servizi il caldo è sempre e solo unicamente africano, il freddo polare o siberiano, e la pioggia sferzante), si è esibita in un rozzo terrorismo verbale per spiegare perché il sindaco di Roma si era premurato di giustificare gli alunni che sarebbero stati a casa da scuola ancor prima dell’inizio di una nevicata. In ogni caso, in nome di una cultura laica, siamo disposti a mutare parere se qualcuno verrà a dimostrarci in modo razionale che la neve italiana è diversa da quella d’oltralpe. Per concludere, una domanda ai sindaci italiani: “Come mai gli abitanti di Trento e dell’intera vallata non si sono mai lamentati per la neve?”.

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