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Giovanni Battista Bottero, il nizzardo che creò il giornalismo popolare

Mentre importanti testate passano sotto unica proprietà nel più compatto “silenzio stampa”, val la pena ricordare l’alba del giornalismo libero, a metà Ottocento. Appena Carlo Alberto abolì la censura preventiva (30 ottobre 1847) giornali e riviste spuntarono come funghi. Il terreno era propizio. In pochi mesi a Torino Camillo Cavour fondò Il Risorgimento, Lorenzo Valerio La Concordia, Nicolò Vineis e altri l’Opinione.
Il 16 giugno 1848, su impulso del geniale naturalista Michele Lessona (autore di Volere è potere), nacque La Gazzetta del Popolo, il quotidiano subito più diffuso, col programma Italia unita con la monarchia di Savoia e Roma capitale: quattro pagine di piccolo formato a soli 5 centesimi quando il pane ne costava 10 al chilo e i salari andavano da 0,40 a una lira al giorno. A fondarla furono due medici, Giovanni Battista Bottero (1822-97) e Alessandro Borella (1815-68), e un poligrafo autodidatta racconigese di origini portoghesi, Felice Govean (1818-98), accomunati dall’ideale di indipendenza e unità d’Italia.
Nato a Nizza Marittima nel 1822 da padre di Limone Piemonte e madre nizzarda, Bottero, allievo dei gesuiti, vestì sempre di nero come un canonico. Qualcuno insinuò che fosse uno spretato. Era solo nemico del potere temporale. Gli si deve l’obelisco che dal 4 marzo 1853 in Piazza Savoia a Torino ricorda le leggi Siccardi che abolirono il foro separato per gli ecclesiastici e gli ordini contemplativi. Bottero scrisse migliaia di articoli ma non pubblicò un libro. Non si firmava neppure: tutti ne conoscevano lo stile (in specie la rubrica Il sacco nero).
Sostenitrice della triade Vittorio Emanuele II-Cavour-Garibaldi, La Gazzetta protestò contro la cessione di Nizza alla Francia e il trasferimento della capitale da Torino a Firenze, ma non giunse mai a strappi clamorosi. Passate le buriane, tenne sempre la barra verso la Sinistra democratica monarchica, fautrice dell’espansione coloniale (l’Eritrea nel 1885 e il protettorato sull’Etiopia dal 1889-96). Bottero, deputato di Nizza Marittima e di Castelnuovo ne’ Monti, alla morte di Cavour fu eletto nel prestigioso collegio Torino I, che poi cedette a Quintino Sella. Ebbe due avversari: il sanremasco don Giacomo Margotti, direttore dell’Armonia, quotidiano cattolico antirisorgimentale, e Vittorio Bersezio (1828-1900), di Peveragno, che nel 1867 fondò la Gazzetta Piemontese, poi divenuta La Stampa.
Direttori e giornalisti erano in massima parte provinciali, come Alfredo Frassati, nativo di Pollone. Lo stesso valeva per i quotidiani liguri sorti dopo La Gazzetta di Genova, Il Corriere mercantile e Il Caffaro, sino al Secolo XIX del padovano Ferruccio Macola. Quei giornali esprimevano lo spirito pugnace di centinaia di collegi elettorali e di milioni di cittadini che chiedevano una politica davvero “nazionale”, non succuba di pochi notabili: volevano ferrovie, strade, scuole, ospedali… e soprattutto principi morali e valori culturali.
Bottero è ricordato da una lapide sulla facciata del municipio di Limone, terra degli avi, con l’occhio volto a Nizza: un capitolo di storia delle Alpi del Mare.

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