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Metodologia della ricerca biomedica

Ancora ai tempi nostri  il contenuto scientifico della ricerca medica e biologica è di gran lunga inferiore a quello della ricerca tecnologica, tanto che il suo obiettivo primario dovrebbe essere quello di avvicinarsi il più possibile alla prima dal punto di vista qualitativo. Purtroppo invece la ricerca medica, più di quella tecnologica, che tuttavia non ne è totalmente esente, è ancora fortemente inquinata da pratiche stregonesche, da superstizioni e da ingiustificati pregiudizi, fra i quali quello della messa al bando della sperimentazione animale che non ha niente a che vedere con l’uso delle pellicce, i maltrattamenti sadici, l’imprigionamento negli zoo e nei parchi delle ville dei ricconi e la schiavizzazione in alcuni circhi.
Il motivo di tutto ciò è che la fisiologia degli organismi viventi è ben lontana dall’essere conosciuta come invece sembra esserlo la fisica dell’Universo, ma forse è più corretto dire che mentre all’ingegneria, figlia della ricerca tecnologica, è permesso e anzi raccomandato applicare un fattore di sicurezza 10 (il che significa, volgarmente e semplificando molto, tollerare imprecisioni dei dati impostati fino a un fattore 10 dal lato della sicurezza), gli esseri viventi esigono di essere trattati con una precisione praticamente assoluta, il che è per ora impossibile; ed è questa la causa del mancato raggiungimento dell’immortalità dopo millenni di  “ricerche”, da Ippocrate e Esculapio fino a…Veronesi, paladino, scientificamente non convinto né convincente, ma praticante, della dieta vegetariana per la cura (prevenzione) dei tumori, specialmente dell’intestino, e di tutte le altre malattie, come dichiara con sospetta sicurezza; e chi ha mai dimostrato che la carne faccia nascere il tumore nell’intestino (dei carnivori)? O forse siamo di nuovo al ridicolo “principio di precauzione” che da qualche decennio domina in tutti i risultati della ricerca e, se applicato come vorrebbero i vari geologi o agrimensori che si occupano di Ambiente e Sociologia, immobilizzerebbe ogni attività umana, anche fisiologica, portando così veramente alla distruzione il nostro bistrattato Genere?

Tutti vegetariani?
La campagna “anticarnivora” nasconde o implica anche quella “per economizzare l’acqua”, dato l’enorme “consumo” che dicono se ne faccia per allevare il bestiame. Fino a una decina d’anni fa nessuno lo sapeva: possibile che non si misurasse ancora l’acqua consumata dai buoi e si convincessero invece le gran signore e signorine a ingurgitare “a canna” almeno due litri d’acqua (al giorno) perfino in chiesa? E bisogna che sia acqua rigorosamente di sorgente e senza CO2 “aggiunta”, quasi che questa fosse un’anidride carbonica differente. L’unico dato “scientifico” in proposito è che l’acqua venduta in bottigliette da mezzo litro costa oltre 10 – 20 volte di più di quella dei supermercati o addirittura “del sindaco” in bottiglie da due litri. E così se ai poveri negri capitasse di poter diventare allevatori, peggio per loro se poi muoiono di sete: che imparino a fare a meno della carne e bruchino l’erba, come tutte le bestie per bene, che saggiamente ascoltano Veronesi e non muoiono di tumore all’intestino! Sapere che esiste al mondo una “scienza” che porta a queste conclusioni fa veramente cadere in depressione, o spinge a mettere al bando per legge chiunque, giovane o vecchio, illustre o sconosciuto, faccia “circolare sui social” informazioni scientifiche di questo genere (N.B. Il sottoscritto non è un “carnivoro da bistecche alla fiorentina”: mangia fettine di prosciutto o petti di pollo a giorni alterni per una scelta del suo apparato digerente e non dei “social media” o di Michelle Obama). Poco “scientifica” è, secondo me, anche l’impostazione del tipo di quella data da Valter Longo, ricercatore italiano 46enne, “migrante pendolante” e aspirante al Nobel, noto su Internet e TV, che ottiene finanziamenti e consensi dimostrando che il digiuno, bontà sua sotto controllo medico e associato ad alcuni farmaci, è la panacea: nella mia ignoranza potrei testimoniare che nonni e bisnonni già ci insegnavano che in caso di malessere (che non fosse l’anoressia, allora sconosciuta) una giornata a digiuno non guastava, seguita da pasti leggeri per una settimana o più; e fino a mezzo secolo fa erano ancora raccomandati i “salassi” (io stesso ho visto applicare le schifose sanguisughe).

Gli stregoni del terzo millennio
Cercheremo comunque il più possibile di non parlare di stregonerie (e nemmeno omeopatie), attenendoci a metodi scientifici; è un fatto però che le cronache riportano spesso casi di malati, specialmente oncologici, defunti per avere preferito all’ancora traballante, ammettiamolo, medicina tradizionale (per esempio: operazione più chemioterapia) le cure di veri e propri stregoni che fanno credere di avere scoperto il modo di guarire ogni tipo di cancro, fornendo come prova, anziché un trattato scientifico o un pacco di referti medici favorevoli, le testimonianze soddisfatte di  pochi ignari “volontari”, che avrebbero usato solo “la forza di volontà e l’intelligenza”; oltraggiando così gli altri poveretti che, pur mettendocela tutta, “hanno perduto la loro lotta contro la malattia”, frase offensiva che eliminerei da ogni cronaca, perché incolpa ulteriormente la vittima stessa della malattia, il più delle volte inconsapevole, se non del tutto innocente (è vero: c’è chi continua a fumare o bere, ma non lo fa per suicidarsi). Io a 72 anni (e sopravvivo da tre), sono (forse) guarito da un tumore cutaneo “raro e maligno”, non perché abbia poeticamente ingaggiato contro di esso chissà quale vittorioso combattimento, ma perché ho goduto di un’immensa fortuna, incappando in un’equipe di giovani e volonterosi chirurghi, seguendo le loro indicazioni, dopo averle discusse liberamente (un fattore essenziale, se il paziente è in grado di ragionare: dovrebbe essere compreso per legge nelle prescrizioni del medico di base) e aggiungendo, forse tardivamente, un po’ di Fede. Non ho ascoltato altro che il normale “istinto di conservazione” comune agli animali di ogni razza, eccetto, forse, trattandosi di una leggenda uscita dalla Disney, i roditori scandinavi Lemmings, che si dice organizzino periodici suicidi di massa per compensare l’eccezionale capacità di riprodursi rapidamente.

Le ingerenze dell’industria farmaceutica
Il merito della mia “guarigione” non è da attribuire a nessuno degli “attori”, se non in parte a parenti e amici che, fortunatamente del tutto ignoranti di medicina, ma pieni di buona volontà, buon senso e affetto, mi hanno sostenuto durante la fase acuta della malattia in cui è indispensabile l’aiuto di altre persone per le funzioni più naturali (fra cui gli scarrozzamenti da un ospedale all’altro e da un medico all’altro e da un parere discordante all’altro). Per il malato si tratta di difendersi non tanto dalle aggressioni della malattia, ma di quella della società che, forse per sfogare la crisi di astinenza da guerre mondiali (ben 70 anni!), escogita continuamente stratagemmi “nobili” e legali per eliminare i propri membri più deboli e indifesi. Ho appena letto con stupore che i sostenitori dell’eutanasia, ormai definiti “civili”, sono i due Paesi Europei “più religiosi” (?): l’Olanda, patria della droga, e il Belgio, patria della pedofilia, entrambi favorevoli da tempo al mantenimento di un fisico sano e robusto, resistente a diversi ettolitri di birra, e che permetta di risparmiare nella ricerca medica, specialmente sulla terapia del dolore, eliminando i soggetti deboli, e quindi scomodi e costosi, con l’economico metodo  “Rupe Tarpea”, come la chiamo io, credo in modo appropriato. L’esasperante lentezza con cui si ottiene qua e là solo qualche piccolo risultato positivo nella direzione della conservazione della vita (umana) è dovuta in parte alla cattiva qualità delle scuole di medicina mondiali ma, aggiungo anche (e soprattutto), alle ingerenze dell’industria farmaceutica (ma non è la sola), che guida la graduatoria dei promotori di vere catastrofi  planetarie. Sono le lobby dell’industria farmaceutica che decidono di quali aspetti della medicina, della biologia e della chimica conviene o non conviene occuparsi, e ciò solo in funzione degli introiti che tali scelte possono procurare, e non del maggiore o minore beneficio per la salute e la qualità della vita.

L’amianto e le maldestre difese in tribunale
Un esempio notissimo di scandalosa negligenza nella ricerca è quello che riguarda la nocività dell’amianto e materiali similari, che causano la maggior parte di casi della non rara e non nuova forma di cancro chiamata “mesotelioma”, tuttora praticamente inguaribile perché si manifesta con gravi sintomi solo 20-30 anni dopo averlo contratto, durante i quali i tessuti interessati sono stati lentamente ma irrimediabilmente compromessi: il fenomeno era noto alla scienza, ma l’amianto (detto anche “asbesto”, da cui il nome “asbestosi” dato a volte alla malattia, chiaramente simile alla “silicosi”, che non è così micidiale) era nel XX secolo il materiale più facilmente reperibile e utilizzabile contro gli incendi (ne facevano largo uso per esempio tutti i meccanici motoristi e i piloti stessi della Formula 1), per non parlare delle grandi industrie manifatturiere, a partire dalla Pirelli; ancor peggio: se ne faceva largo uso domestico per non scottarsi in cucina o nel “bricolage”, e infine, sotto il nome di Eternit, si è usato ovunque per fare tettoie e isolare soffitti e pavimenti. Quando la maggior parte degli industriali coinvolti furono soddisfatti dei profitti ricavati, a qualche scienziato “coraggioso” fu concesso di far trapelare le prime verità sui danni irreparabili, e, grazie all’invenzione delle “class action”, fioccarono le denunce e le maldestre difese, per molti scattò la prescrizione, ma per moltissimi scattò l’inizio del “business” dello smaltimento, che è oggi nel suo pieno splendore. Gli ammalati sono morti da tempo, i colpevoli (ma gli “scienziati” non sono stati coinvolti) se la sono cavata con modeste sanzioni, alcuni parenti dei defunti sono stati parzialmente risarciti, ma devolvendo agli avvocati buona parte del rimborso, e lo Stato ha incassato un sacco di multe e di tasse sullo smaltimento. E tutto ciò è un caso esemplare di come una certa ricerca venga gestita (in ogni parte del mondo industrializzato) senza cercare di evitare stragi e speculazioni, ma nella massima legalità e con grande spreco di risorse, oltre che con la benedizione dei fabbricanti di regole, come per esempio il governo europeo.

La prevenzione delle malattie
Da qui e da altre scelte fatte a scopi speculativi, il continuo vergognoso elemosinare di finanziamenti addizionali (rispetto a quelli già ricchi stanziati dai governi), perché in molti casi restano scoperte dai finanziamenti pubblici le ricerche sulle malattie rare o su quelle endemiche dei Paesi poveri, che non avrebbero i mezzi per pagare medicamenti e trattamenti se anche questi esistessero.
Eppure la ricerca medica rispetto a quella tecnologica dispone di un numero molto superiore di dati sperimentali, che non occorre inventare, perché si generano da sé, sotto forma di malati che guariscono o decedono o si cronicizzano per i motivi più svariati, che vanno dalle condizioni  congenite del proprio organismo a quelle ambientali (epidemie o pandemie incluse), dallo stile di vita scelto agli incidenti (stradali, sul lavoro, ecc.); inoltre la ricerca medica ha come unici (anche se impegnativi e improrogabili) obiettivi la prevenzione delle malattie e il prolungamento della vita degli esseri umani (se aggiungiamo la ricerca veterinaria accontentiamo anche gli animalisti), mentre la ricerca tecnologica e fisica può sbizzarrirsi con infiniti obiettivi (compresi purtroppo quelli bellici). Non essendo medico, ma solo ingegnere con una modesta, ma esauriente, esperienza da ricercatore (tecnico-scientifico: mi sono occupato perfino di crescita di pianticelle in assenza di peso), citerò negli articoli seguenti solo le mie personali avventure medico-chirurgiche viste con l’occhio del tecnico, ma anche di paziente “fortunato”, che ha subito, sopravvivendo fino ad ora, almeno sei operazioni negli ultimi 10 anni di vita, principalmente in campo cardiologico, oncologico e oculistico. Prima dei 65 anni ricordo solo di essere stato operato alle tonsille (e adenoidi, un supplemento “gratuito” e superfluo), in un’epoca, il secondo dopoguerra, in cui praticamente tutti i bambini sotto i dieci anni venivano sottoposti a questa vera e propria tortura (senza anestesia) senza che ne fosse accertata la necessità, né ottenendo un vero beneficio contro raffreddori e altri disturbi, che resistevano anche alla penicillina, inevitabile “moda” di quei tempi, perché appena immessa sul mercato, e anch’essa scomparsa: il mercato farmaceutico offre oggi prodotti molto più redditizi.

Tonsille e appendice
E come mai questa miracolosa scomparsa del malanno, che oggi potrebbe essere più facilmente attribuibile all’aumentato inquinamento, se ciò fosse vero? Non risulta che negli ultimi decenni si sia trovato un rimedio, tanto più che non ci dovrebbe essere una vaccinazione capace di combattere queste infiammazioni (anche la rimozione dell’appendice a quel tempo era praticamente obbligatoria, anche se in età leggermente più avanzata).  Le tonsille di tutti oggi dovrebbero essere grandi come arance e le aspettative di vita dovrebbero essere diminuite e non sorprendentemente aumentate negli ultimi tre quarti di secolo. Ecco comunque un caso in cui si sono stanziati per la ricerca, e forse non spesi in campo medico-chirurgico,  un sacco di soldi inutilmente, perché il problema si è risolto da solo (non credo che si siano verificate mutazioni genetiche in così poco tempo); oppure l’obiettivo del taglio delle tonsille e dell’appendice era del tutto sbagliato? Ricordo che già negli anni ’70 qualche medico “indipendente”, a cui io stesso mi sono rivolto a titolo del tutto gratuito, sconsigliava l’appendicectomia e guariva la “malattia” con normali trattamenti antiinfiammatori (e ovvie precauzioni alimentari, che in ogni malattia devono essere adottate). Immagino che da allora interi fiorenti reparti di chirurgia avranno dovuto convertirsi ad altri “interventi”, come per esempio a quelli dei nei, che attirano frotte di sprovveduti, terrorizzati da scenari disastrosi, oggi amplificati dai cialtroni di Internet, che ai miei tempi per fortuna non esisteva. Gli stessi sprovveduti si fanno poi martoriare la pelle con grandiosi tatuaggi, così come quelli preoccupati per il buco nell’ozono passano poi giorni interi distesi ai raggi ultravioletti del sole o, non contenti, si bruciano con le “lampade”, magari dopo avere offerto due euro per la ricerca sui melanomi; perché, per chi non lo sapesse, nonostante le presunte ricerche il melanoma ancora uccide e non c’è dubbio che i raggi UV siano fra le sue cause.

Il medico nel monitor del pc
Ma la gente ha idea di quante persone, soprattutto di un certo livello di istruzione, vanno a consultare Internet prima del proprio medico di base e addirittura dello specialista? Poi dallo specialista ci vanno lo stesso, spendono i loro bei150 euro (minimo) in nero, ma non seguono le sue prescrizioni, perché si fidano di più di Internet. E’ una nuova e più grave forma di ipocondria che dovrebbe essere combattuta energicamente e diventare perciò oggetto di ricerca. Quindi ipocondriaci e persone impressionabili si astengano dal continuare a leggere questi articoli, gli altri pazienti lettori (nel senso di “dotati di pazienza” e non di “costretti a patire”) mi scusino per la prolissità, dovuta sia a deformazione professionale, sia alla sincera intenzione di comunicare in modo comprensibile ciò che ho appreso dal punto di vista tecnico e umano (e ormai, dopo oltre mezzo secolo, anche “storico”), in modo da fornire qualche spunto creativo ai lettori medici o aspiranti tali (che potrebbero decidere di cambiare mestiere finché sono a tempo: l’agricoltura ha sempre bisogno di forti braccia), e da aiutare a comprendere la propria situazione  gli sfortunati clienti di questa categoria di professionisti, che, con tutto il rispetto dovuto a coloro che impegnano le proprie forze e la propria volontà in piena buona fede e con straordinario e mal riconosciuto altruismo, possono diventare a volte i nostri peggiori nemici, che come minimo usano impropriamente e sconvenientemente le risorse stanziate per quella voce di bilancio che si chiama “ricerca” e che resta l’oggetto della presente serie di articoli “fuori tema”, come si intitola la rubrica.

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