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Femminicidio: quando il maschio affidabile si trasforma in un mostro

L’idea stessa che il reato di femminicidio appaia come una reale emergenza sociale la dice lunga sul fenomeno. È vero che una donna uccisa ogni 60 ore è un’enormità e non vogliamo minimizzare assolutamente la gravità del dato statistico. Tuttavia, occorre mettere a fuoco qualche punto. Innanzi tutto, il fenomeno non è in crescita. Rispetto a 150 anni fa il femminicidio è di cento volte inferiore. Inoltre, ciò che lo rende oggi un’emergenza è soltanto la punta dell’iceberg di una manifestazione sociale molto più grande e riguarda il rapporto tra maschile e femminile. Quando parliamo di femminicidi, dobbiamo pensare che si tratta di vere e proprie eliminazioni fisiche di donne da parte di maschi che non riescono a elaborare la perdita di una partner. Ma qual è la natura del femminicida? Si tratta di un maschio, che io definisco fragile.
È un uomo educato ad una rappresentazione narcisistica di sé e ad una presunta onnipotenza, incapace di elaborare la frustrazione e di accettare l’autonomia della donna. Quando questi uomini vengono abbandonati, scatta una reazione tipicamente infantile di un bambino che distrugge il giocattolo che non funziona più o che aggredisce la madre cattiva, percepita come abbandonica. In alcuni casi, è la variante della depressione anaclitica, in altre assume forme di sadismo distruttivo sacrificale, che vede un maschio fragile-distruttore estraneo alla categoria dei Peter Pan farfalloni, bensì un soggetto preciso, fedele e affidabile.
Quel tipo di maschio che attira proprio per la sua prevedibilità. Ma nel caso di abbandono questi maschi non percepiscono la ex partner come un soggetto autonomo e desiderante, sono portati invece alla ferocia e all’omicidio. È un fenomeno non prevedibile ma prevenibile. Dobbiamo insegnare ai maschi una maggiore autonomia affettiva, a partire da quella materna. Un aspetto inquietante dell’omicidio della Magliana, in cui ha perso la vita Sara, riguarda le macchine che non si sono fermate mentre la ragazza cercava, disperata, aiuto sul ciglio della strada. Certamente vedere una donna agitarsi dovrebbe indurre ad un senso di responsabilità innato ma, purtroppo, può scatenare anche la fuga. La sindrome dello stupro nel metrò è stata studiata. È un atteggiamento per niente civile, che però dovrebbe almeno permettere di far segnalare alle autorità l’esistenza di una situazione a rischio.

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