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IL PENSIERO DI LOCKE, PADRE DEL LIBERALISMO

LA CONCEZIONE ATOMISTICA DELLA REALTÀ

quinta parte
Secondo Locke il nostro atteggiamento nei confronti della sostanza è esattamente analogo a quello dell’indiano nei confronti del mondo. La storia della filosofia e lo stesso senso comune hanno sempre portato l’uomo a ragionare in questo modo: v’è la sostanza libro di cui posso descrivere vari attributi quali il colore, la forma, il materiale. In altre parole, si é sempre dato per scontato che esistesse qualcosa cui si attribuiscono delle caratteristiche (colore, forma, sapore, materiale) e questo qualcosa è sempre stato chiamato sostanza. Qualche anno prima di Locke, poi, si era affermato l’atteggiamento avviato da Galilei che tendeva a ricondurre le qualità secondarie a primarie per cui se ho un libro blu, il blu non é caratteristica oggettiva (primaria) del libro, ma è solo una manifestazione oggettiva sui miei organi sensoriali (in questo caso gli occhi) da parte di qualità primarie, ossia quantitative. Il flusso di atomi che esce costantemente dal libro urta i miei occhi e io vedo il blu che di per sé non esiste perché esiste solo come manifestazione soggettiva-secondaria (su di me) di qualità oggettive-primarie (gli atomi). Ora con Cartesio il sospetto galileiano dell’inesistenza oggettiva delle qualità secondarie era diventata una verità assoluta. Le qualità secondarie (colori, odori) in natura, oggettivamente non esistono, le percepisco solo io soggettivamente come qualità secondarie. Locke condivide questa concezione atomistica della realtà che prevede l’inesistenza oggettiva delle qualità secondarie, tuttavia effettua un ragionamento più approfondito. È vero che le qualità secondarie si appoggiano sulle primarie, nel senso che, se non vi fossero le primarie, le secondarie non esisterebbero, tuttavia, così come le qualità secondarie poggiano su quelle primarie, anche le primarie potrebbero poggiare su qualcosa di più profondo che noi ignoriamo (ricordiamoci che per Locke la ragione umana é una candela che non illumina tutto). Allo stesso modo in cui per l’indiano il mondo poggia sull’elefante, che poggia sulla testuggine la quale non si sa su cosa poggi, le qualità secondarie poggiano sulle primarie, le quali non si sa su cosa poggino, ossia non si conosce la sostanza cui si riferiscono. Ho un libro blu, il blu di per sé non esiste, è una manifestazione soggettiva di una realtà atomica oggettiva che inerisce al libro. Dunque il blu poggia sulla struttura atomica del libro; la struttura atomica é caratteristica del libro che, in quanto “sostanza”, deve esistere di per sé. In altri termini si dà per scontata l’esistenza di qualcosa (in questo caso il libro) avente delle qualità: é blu, é grande, é di costituzione atomica. La filosofia, poi, mi ha già garantito che le qualità secondarie poggiano sulle primarie, ma non mi ha ancora detto su che cosa poggino le primarie. Che senso può avere l’espressione “il libro é x “, dove x sta per blu, per grande, per atomico, per pesante? Che cosa é, in altri termini, quella cosa di cui predìco il colore blu, la grandezza, l’atomicità, il peso, e che do per scontato che esista a monte di questi attributi? Non é certo il libro che stringo fra le mani ad avere tutte queste caratteristiche: é blu, ha forma atomica, é pesante, ma ci deve essere un qualcosa cui si aggiungono queste caratteristiche, e deve essere pensabile, scevro di queste caratteristiche. Il libro in sé, per dirla con Platone. Per dire che il libro é blu, ci deve essere qualcosa prima che io aggiunga al libro, il blu, allo stesso modo in cui dico che John corre, devo prima sapere che cosa é John, di cui predìco il fatto che stia correndo. Allo stesso modo, quando dico che il libro é blu, devo prima sapere che cosa è il libro, di cui predìco il blu. Il libro deve quindi essere qualcosa di indipendente dall’essere blu. Ma allo stesso tempo deve essere indipendente da tutti gli altri attributi che di lui posso predire. La filosofia del 1600 ha già risolto, riprendendo Democrito, il problema delle qualità secondarie: il libro, fatto di qualità oggettive, mi appare soggettivamente blu, ma il blu di per sé non esiste nel libro, sono io che lo vedo. Anche se togliessi il blu al libro, continuerebbe ad esistere una sostanza oggettiva ( l libro atomico, come estensione, pura materia). Togliamo pure le caratteristiche soggettive che, di per sé, non esistono. Il libro é atomico ed é a forma di parallelepipedo, questo presuppone che il libro sia qualcosa di indipendente dall’essere atomico o a forma di parallelepipedo. C’è prima il libro (la sostanza) di per sé, poi ad esso aggiungo la forma parallelepipedo e la struttura atomica, ma il libro può essere predicato anche a prescindere dalla struttura atomica e della forma parallelepipedo. La sostanza (in questo caso il libro) non si identifica con le qualità secondarie (i colori, i sapori, gli odori, i suoni) ma neanche con le primarie (l’essere atomico, misurabile, pesante). E allora che cos’é la sostanza? Non lo posso sapere. Esattamente come l’indiano non sa su cosa poggi la testuggine, pur sapendo che su essa poggia l’elefante. Noi uomini non sappiamo su cosa poggino le qualità primarie (oggettive come grandezza, peso), pur sapendo che su esse poggiano quelle secondarie (soggettive come colori, suoni, odori). Il blu poggia sulla struttura atomica del libro: quest’ultima é caratteristica della sostanza libro, ma la sostanza libro dove sta? Che cos’é? Le qualità primarie poggiano su un qualcosa di cui sono espressione (ciò che chiamiamo sostanza), ma questo qualcosa noi lo ignoriamo totalmente. Si potrebbe definire la sostanza come un puntaspilli perché proprio come il puntaspilli è l’appoggio e il supporto degli spilli, la sostanza è il supporto e l’appoggio per le qualità e le caratteristiche che ad essa ineriscono. Un apporto e un appoggio invisibili e sconosciuti per noi, come si diceva, ma che, tuttavia, devono esistere proprio perché di essi si predicono le caratteristiche. Ora, è chiaro che, oltre ad essere un supporto per le caratteristiche che ad essa ineriscono, la sostanza è anche ciò che le tiene insieme. Con le singole e molteplici idee semplici (colori, forme, peso messe insieme, avrò l’idea complessa di John. Teniamo sempre a mente però che l’idea di sostanza non la possiamo conoscere. Perché ogni volta che John ci appare davanti agli occhi le singole idee sono sempre rielaborate allo stesso modo dall’intelletto nell’idea complessa di John? Perché quel gruppo di idee semplici si offre costantemente ai nostri sensi? Esiste dunque in natura qualcosa che fa sì che un gruppo di idee mi si presenti sempre insieme, ad esempio l’idea di libro, unione di determinate idee singole? Che cos’è che fa sì che quel determinato gruppo di idee semplici si presenti costantemente insieme e unito? Immaginiamoci un puntaspilli “invisibile” pieno di spilli piantati su di esso: noi vediamo solo gli spilli, che fuor di metafora sono le caratteristiche secondarie che a loro volta poggiano sulle primarie; ma ciò che le tiene insieme (il puntaspilli invisibile) noi non lo conosciamo, ma sappiamo che c’è. Pensare che vi sia una sostanza cui ineriscono tutte le qualità che in essa scorgiamo deriva dal fatto che solo ipotizzando la sua esistenza si può ammettere che certe qualità si presentano costantemente insieme (altezza, peso, colore): se dico che il libro è blu, è di forma a parallelepipedo, vuol dire che ci deve essere da qualche parte la sostanza libro cui queste caratteristiche ineriscono. A questo punto Locke introduce le idee generali. Le idee di sostanza sono sempre individuali (John, Socrate, Platone), tuttavia è evidente che esistano anche idee generali, costruite tramite processi astratti. Da singole idee di sostanza (Socrate, John, Platone), tramite un processo astratto, arrivo all’idea generale “uomo”. Avrò  più idee complesse (John, Socrate, Platone) costituite ognuna da più idee semplici (altezza, colore, forma). Ora per ottenere l’idea generale “uomo” non devo far altro che estirpare da queste idee complesse le differenze che intercorrono dall’una all’altra, tenendo per buone solo le caratteristiche (idee semplici) che ineriscono a tutte e tre le idee complesse considerate. Socrate, Platone e John non avranno la stessa altezza, quindi tolgo l’idea semplice “altezza”, non avranno lo stesso peso, quindi tolgo l’idea semplice “peso”, e così via finché non lascio solo le idee semplici caratteristiche a tutte e tre le idee complesse considerate (ad esempio l’idea di piedi, di mani, di testa). Quella è l’idea generale uomo, ossia l’essenza uomo, quella che Platone aveva chiamato “uomo in sé”. Ho scartato l’idea di altezza e di peso, e infatti per comunicare a qualcuno che cosa sia un uomo non gli dico che è un essere alto X e pesante Y, bensì gli dico che é un essere con due mani, una testa, due piedi, proprio perché tutti gli uomini hanno queste caratteristiche. Ma non sono tutti uguali.

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