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Biometano, la frontiera dei trasporti puliti

di Gloria Smith – Il biometano ha il potenziale di rendere i trasporti molto più “verdi”, recuperando al tempo stesso gli scarti delle attività agricole. Secondo i dati forniti dall’organismo no-profit World Resources Institute, ogni anno negli Stati Uniti si generano circa 50 milioni di tonnellate di rifiuti organici che non sono in nessun modo riutilizzati ma inviati in discarica o lasciati macerare. Questi sottoprodotti di agricoltura e allevamento possono però essere usati per generare energia: 50 milioni di tonnellate di rifiuti organici trattati negli impianti per il biogas avanzato equivalgono a 6 miliardi di galloni di diesel (1 gallone=3,7 litri), pari al 15% del diesel consumato nel 2017 da autobus e mezzi pesanti negli Usa. Con impatto quasi zero: il biometano riduce le emissioni serra di circa il 90%.

Seguire gli apripista
Per questo il World Resources Institute scrive che le aziende americane che operano nel riciclo dei rifiuti o che impiegano flotte di camion e bus possono farsi paladine di un rinnovamento green, seguendo l’esempio degli apripista, come il gruppo della logistica UPS, che ha già inserito mezzi con biometano. O come il maxi allevatore dell’Indiana, Fair Oaks Farms, che gestisce tutta la sua attività con l’energia prodotta dagli scarti organici di maiali e mucche e ha due stabilimenti per la generazione di biometano per i trasporti. Il potenziale è però ancora fortemente inesplorato, sottolinea il World Resources Institute: più aziende devono mettersi sul sentiero tracciato dagli early adopters.

Un lavoro di squadra
Fair Oaks Farms riesce a convertire in biometano 950 tonnellate di scarti di 16.000 mucche da latte, ma non serve avere un maxi allevamento per dare “benzina” pulita ai camion: le fonti di scarti organici sono molteplici, dai sottoprodotti dell’agricoltura ai rifiuti alimentari gettati nella spazzatura dalle famiglie e mandati in discarica – persino i resti del prato e delle aiuole del giardino finite nel tosaerba. Bisogna però che l’intero sistema lavori all’unisono: società che trattano i rifiuti, fornitori di servizi pubblici, aziende dei trasporti. Occorre anche investire negli impianti di trasformazione dei rifiuti in biometano, che è biogas purificato e di qualità superiore: un costo iniziale non indifferente che però produce nel tempo risparmi sulla gestione dei rifiuti e contribuisce a migliorare la qualità dell’aria e la salute pubblica.

Usa bene, Europa meglio
La volontà del governo di dare sostegno agli investimenti in energia pulita è una variabile decisiva nell’equazione: grazie anche agli incentivi pubblici per le politiche low-carbon, dal 2011 al 2016 la produzione di biometano negli Usa è cresciuta da 1,4 milioni a 190 milioni di galloni di etanolo-equivalenti e i ritorni sull’investimento sono garantiti in circa dieci anni. L’Europa in questo settore è avanti: abbiamo oltre 500 impianti per la generazione di biometano nel 2017 (dati di EBA-GIE) contro circa 80 in Stati Uniti e Canada (dati della Coalition for Renewable Natural Gas). L’Italia ha a sua volta una leadership con il suo programma di sostegno alla produzione e distribuzione di biocarburanti avanzati e di biometano avanzato da usare nei trasporti, per il quale sono stati stanziati 4,7 miliardi di euro dal 2018 al 2022; la filiera italiana del biogas e del biometano in agricoltura è la seconda per grandezza in Europa e la quarta al mondo, dice il Consorzio italiano biogas (Cib), secondo cui l’Italia potrebbe produrre 10 miliardi di metri cubi di biometano al 2030, pari a circa il 15% dell’attuale fabbisogno annuo di gas naturale.

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