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Tre cilindri: quando la tecnica cambia opinione

di Enrico De Vita (Automoto.it) – Fra i tanti geni che hanno fatto grande l’Italia nel campo dei motori, ne ammiriamo uno in modo particolare: Dante Giacosa. Ingegnere raffinato, 40 anni alla Fiat, progettista della 500 A prima della Seconda Guerra e poi di tutti i modelli torinesi fino alla 128. Professore universitario, autore del testo scientifico “Motori endotermici”, musicista, a lui si deve la scoperta del giovanissimo Giorgetto Giugiaro, assunto a Mirafiori quando aveva solo 18 anni.
Per un appassionato di motori, conoscere Dante Giacosa e parlare di tecnica è una delle fortune della vita. Ebbi questa opportunità nel 1972, quando diventai caporedattore della enciclopedia “Milleruote”. Durante i tre anni successivi mi incontravo periodicamente con Giacosa, a Torino, nel suo ufficio di Mirafiori, per avere il suo “visto, si stampi” ai testi più impegnativi dell’opera.

Un ingegnere polivalente
Era stato messo da parte appena superati i 60 anni, come di moda allora, lo avevano relegato a progettare auto elettriche, da consulente, e pure in questo campo seppe dettare legge e innovare. Mi trasmise la sua esperienza, il suo rigore e anche la passione per le auto a batteria. Lui stesso compilò la monografia “Auto elettrica” per l’enciclopedia” Milleruote”.
Un giorno dovevamo trattare la voce “equilibratura” (o “vibrazioni”, non ricordo), argomento alquanto ostico per gli studenti universitari, ma per lui era musica. Li aveva costruiti e provati tutti, i tipi di motori. E parlava per esperienza. Gli chiesi perché non avesse ancora disegnato un tre cilindri per la Fiat. Mi rispose: «Perché è un motore rauco e zoppo. Non ritengo che la Fiat ne metterà mai in cantiere uno. Per la 500 A del 1937 ho preferito adottare un bel quattro cilindri, con pistoni da 125 cm3. Per la Nuova 500 del 1957, invece, ho scelto un bicilindrico raffreddato ad aria, per ragioni di economia.»

Inizialmente non considerato in Fiat, il 3 cilindri vinceva con la MV Agusta
Gli obiettai che Giacomo Agostini stravinceva in sella alla MV-Agusta tre cilindri, quattro tempi. «I motori da corsa sono un’altra cosa – rispose-. Ad altissimo numero di giri, le discontinuità di coppia del tre cilindri sono meno fastidiose. Così pure in un motore alleggerito lo squilibrio delle forze d’inerzia di primo grado è meno avvertibile.»
Mi convinse. Il tre cilindri a quattro tempi ha tre accensioni in due giri, come dire uno scoppio ogni 240°. Il che significa che in ogni giro c’è un’accensione e mezza. E siccome i cilindri sono in linea, l’ordine di accensione è sempre: 1, 2, 3. Oppure: 3, 2, 1, il che è lo stesso. Morale: il motore fa un passo al centro, uno a destra e uno a sinistra. Avete presente la camminata di Celentano in “Siamo la coppia più bella del mondo”? Bene, il tre cilindri gli somiglia molto. Onde l’aggettivo “zoppo”, coniato dal grande Giacosa.
Poi c’è il “rauco”, che deriva tutto dal fatto che il progettista della Primula (la prima trazione anteriore Fiat), era un fine intenditore di musica e non mandava giù l’armonica di base del suono: tre battiti in due giri, qualcosa di dissonante. Molto meglio il tre cilindri a due tempi, che invece ha il suono armonico del sei cilindri in linea.
“Oggi si assiste a un vero fiorire di tre cilindri. Ford, BMW, Toyota, Opel e Volkswagen, solo per citarne alcune, sono le Case che si sono cimentate nella nuova tendenza”

Un carattere “ruvido”
Infine, c’è un aggettivo non usato da Giacosa ma che ben descrive il comportamento delle forze alterne: il tre cilindri è “ruvido”, è come una persona che fa roteare i gomiti, alternativamente. E, per bilanciare questo ballo di San Vito, è consuetudine universale infilare nel carter un secondo albero a gomiti, che gira in senso contrario rispetto all’albero principale (ma allo stesso regime) e che possiede due pesanti eccentrici, il cui effetto è quello di produrre una “sgomitata” esattamente opposta a quella d’origine.

I primi 3 cilindri automobilistici derivavano dalle moto da 600 cc
Il costo del contralbero era per Giacosa equivalente a quello di un quarto pistone. E rimanevano irrisolti i problemi della coppia irregolare. Per questo la soluzione del tre – sull’auto – è sempre stata considerata un ripiego. In passato i tre cilindri per auto erano quasi tutti ricavati dai piccoli 600 giapponesi di derivazione motociclistica: leggeri, alto numero di giri, rigorosamente a benzina, anche sovralimentati.
Poi c’è stato qualche tentativo di passare al diesel. Ricordiamo la prima VW Polo diesel col 1500 iniettore-pompa: girava così piano, ma aveva una coppia così elevata che in città sembrava un canguro. Tuttavia, questo insuccesso ha spinto i progettisti a introdurre una prima soluzione, sconosciuta ai tempi di Giacosa: il volano bi-massa, anzi tri-massa. ? la geniale invenzione che consente di assorbire l’irregolarità degli scoppi senza togliere nulla alla coppia. ? come se girassimo la manovella per fare la pasta e ogni due giri si incontrassero tre indurimenti equidistanti. Nel volano ci sono masse sostenute da molle che assorbono il colpo, lo attutiscono e poi lo restituiscono gradualmente. Così il funzionamento appare dolce e rotondo, almeno a quei regimi ove era più fastidioso.

Il tre cilindri oggi: una realtà concreta
Oggi si assiste a un vero fiorire di tre cilindri. Ford, BMW, Toyota, Opel e Volkswagen solo per citarne alcune, sono le Case che si sono cimentate nella nuova tendenza. Ma non è una moda: l’imperativo di ridurre l’anidride carbonica emessa durante il ciclo di prova costringe i progettisti a esplorare tutte le strade per risparmiare anche una goccia di benzina. L’ultimo dei tre, quello della Peugeot 208, per intenderci, ha sbancato tutti. Non solo ha il contralbero, non solo ha il volano bi-massa, ma ha pure una speciale cassa di risonanza nella marmitta, che raddoppia le frequenze allo scarico, conferendogli una sonorità tutt’altro che sgradevole. Morale: sembra quasi un sei cilindri.
Lo abbiamo provato a lungo, scettici nelle premesse, sorpresi per il risultato, increduli per le prestazioni: non è più rauco, zoppo e ruvido. Liscio come l’olio. In più riduce di quasi il 25% gli attriti interni (rispetto a un quattro) e fa calare il peso di un buon 20 kg. Ha una potenza di 82 cavalli e, da un 1200, non è niente male. Certamente farebbe ricredere anche il grande Dante Giacosa.

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