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DA MOVIMENTO LIBERALE

PERCHÉ LA CHIESA, CON TUTTI I SOLDI CHE HA, E CON TUTTA L’IMU CHE NON PAGA, INVECE DI PREDICARE LA CARITÀ, NON LA METTE IN PRATICA?

Milano – Lettera Firmata
Caro Direttore,
approfittiamo della sua fraterna disponibilità e, nostro malgrado, dobbiamo registrare un’altra ingerenza del cardinal Bagnasco (presidente della Cei) in merito alla gestione della cosa pubblica. Il cardinale genovese apre a Roma i lavori della Cei insistendo sui temi sociali e alzando la voce sul rischio della povertà. E si permette di lanciare un monito ai partiti a difesa della vita e della famiglia, e un appello ai cittadini a non disertare le urne e a non rifugiarsi nel voto di protesta. Il cardinale genovese capo dei vescovi italiani si azzarda a dire: “La politica non deve sprecare i sacrifici degli italiani. La disoccupazione giovanile è un’epidemia. L’indigenza si allarga. Per l’economia del paese, dopo il baratro è il momento del rilancio”. Ci permettiamo di dare un piccolo consiglio  al loquace prelato, anche se, essendo dei liberali rispettosi della libertà altrui, non diamo spesso consigli agli altri. Ma dobbiamo farlo perché è proprio Bagnasco ad invadere prepotentemente la sfera di libertà degli italiani, della politica e di uno Stato Sovrano come l’italia. E ricordiamo a Bagnasco che con tutti i soldi che ha la Chiesa potrebbe essere lei la prima  a mettere mano al portafogli per fare un po’ di carità. Infatti la Chiesa possiede il 20-22% di tutto il patrimonio immobiliare italiano: un quarto di Roma è del Vaticano. Negli ultimi due anni la Chiesa ha venduto beni per quasi 50 milioni. Il patrimonio gestito dallo Ior sfiora i 6 miliardi. In Italia si stimano 200.000 posti letto gestiti da religiosi. L’ultimo bene della Chiesa a essere venduto è stato un immenso complesso monastico sulla Camilluccia, alle spalle di Monte Mario. Nella stessa arteria a nord ovest della Capitale, zona Trionfale, l’immobiliarista casertano Giuseppe Statuto ha acquistato un ex convento del XVIII secolo di importante valenza storica, con una superficie di quasi 5 mila metri quadri, ed inserito in un’area naturale tre volte più grande. Ma chi è Giuseppe Statuto? È l’enfant prodige dei nuovi palazzinari romani, l’unico ad non essere sfiorato dalle disavventure giudiziarie dei «furbetti del quartierino», in arte Stefano Ricucci e Danilo Coppola. Ma soprattutto è uno dei rari operatori del settore ad avere accesso agli affari immobiliari della Chiesa. Grazie ai suoi rapporti privilegiati con la Santa Sede,attraverso la sua Michela Amari, capogruppo italiana di Giuseppe Statuto, e le altre controllate attive nella Capitale (Bixio 15, Diemme Immobiliare, Derilca, Egis), ha acquistato in questi anni numerosi immobili di pregio dismessi da congregazioni religiose,ordini e confraternite. Gli affari della Chiesa non si limitano certo ai pur fruttuosi rapporti con Statuto. Non potrebbe essere diversamente data l’incredibile mole di immobili che si ritrova a gestire. Per avere un’idea del patrimonio immobiliare della Chiesa universale, si può prendere come riferimento l’osservazione fatta da un membro della Conferenza cattolica di New York, che ha testualmente affermato: “Probabilmente la nostra chiesa è seconda solo al governo degli Stati Uniti, per quanto riguarda il volume annuo di acquisizioni”. Un’altra dichiarazione di un sacerdote cattolico e ripresa dalla stampa statunitense, è forse ancora più eloquente: ”La Chiesa cattolica –ha affermato- dovrebbe essere considerata la maggiore azienda negli Stati Uniti. Abbiamo una filiale in ogni luogo. I nostri capitali ed il patrimonio immobiliare dovrebbero essere più cospicui di quelli di Standard Oil, A.T.& T. e di U.S. Steel messi assieme. Il nostro ruolo di contribuenti dovrebbe essere secondo solo a quello degli uffici delle entrate del governo degli Stati Uniti d’America”. La Chiesa cattolica è il maggiore potere finanziario e detentore di beni oggi esistente. È il maggior possessore di ricchezze materiali, più di qualsiasi altra singola istituzione, azienda, banca, fiduciaria, governo o stato dell’intero pianeta. Il papa, in qualità di amministratore ufficiale di questo immenso Eldorado, è di conseguenza il più facoltoso individuo del pianeta. Nessuno può realisticamente stimare quanto valga il suo patrimonio in termini di milioni di dollari. Un patrimonio sfuggito a ogni censimento, nei quasi ottant’anni seguiti al Concordato che dal 1929 regola i rapporti tra Stato e Vaticano. Come aveva sottolineato anche Francesco Rutelli, all’indomani della revisione dei Patti lateranensi. In un acceso dibattito parlamentare dell’aprile 1985 sulla legge che istituiva il Fondo edifici di culto, l’allora deputato radicale aveva fatto mettere agli atti l’interminabile elenco dei palazzi posseduti dagli enti ecclesiastici nella sola città di Roma per dare la consistenza reale dei beni della Curia. Lo stesso Rutelli che,una volta diventato sindaco, non si oppose alla pioggia di finanziamenti pubblici arrivata con il Giubileo del 2000: ben 3.500 miliardi di lire per parcheggi e sottopassi, restauri di cappelle e palazzi, ristrutturazioni edilizie e nuovi alloggi per pellegrini.Ma non finisce qui. Nel 1977 Palo Ojetti pubblicò sulla rivista l’Europeo (7.1.1977) alcuni dati incredibili sulla città di Roma, arrivando a calcolare che ¼ della città è di proprietà della Chiesa. Pagina su pagina registrò migliaia di palazzi che in parte appartengono alle 325 congregazioni delle monache cattoliche e degli ordini monastici. Nel 1998 Max Parisi, giornalista della Padania,fece un’indagine approfondita sulle proprietà immobiliari del Vaticano a Roma. Nel suo articolo concluse che 1/3 di tutti gli immobili della capitale è di proprietà della Chiesa Cattolica. Nel 2007 Luca Iezzi, giornalista de La Repubblica, diede alcuni dati davvero interessanti sulle proprietà della Chiesa a Roma: la Santa Sede possiede 550 tra istituti e conventi, 500 chiese, 250 scuole, 200 case generalizie, 65 case di cura, 50 missioni, 43 collegi, 30 monasteri, 25 case di riposo e ospizi, 18 ospedali. Sono quasi 2 mila gli enti religiosi residenti e risultano proprietari di circa 20 mila terreni e fabbricati. Aggiungendo come le proprietà del Vaticano in Italia fossero stimate in 100.000 fabbricati, per un valore di 8-9 miliardi di euro. Un patrimonio continuamente aggiornato e incrementato dal trading immobiliare e da sempre crescenti lasciti e donazioni dei fedeli (su Roma, nel 2008, se ne registrarono la bellezza di 8.000). Calcolando per difetto gli esperti contano in oltre 115.000 proprietà il vero tesoro vaticano in tutta Italia. Il 30 maggio 2010 il Giornale riporta l’elenco delle case e dei terreni di proprietà della Chiesa, situati tra la Roma e provincia. Tra gli immobili troviamo un palazzo di sei piani di proprietà delle Orsoline da oltre 50.000 metri quadri di superficie, situato alla fine della Nomentana all’altezza dell’Aniene. Le suore di Maria Ripatrarice si accontentano d’un convento di tre piani. Dalle centralissime Via Sistina e Via dei Condotti, fino al Pantheon e a piazza Navona, edifici barocchi e isolati di proprietà di confraternite e congregazioni si alternano a istituzioni come la Pontificia Università della Santa Croce. E ancora, continuando giù per il lungotevere e l’isola Tiberina, che appartiene interamente all’ordine ospedaliero di San Giovanni di Dio. E poi su di nuovo per il Gianicolo, costeggiando il Vaticano fino sull’Aurelia Antica dove si innalza l’imponente Villa Aurelia, un residence con 160 posti letto, con tanto di cappella privata e terrazza con vista su San Pietro, che fa capo alla casa generalizia del Sacro Cuore. È tutto di enti religiosi. Un tesoro immenso che però non si ferma alla sola capitale. La Curia vanta possedimenti cospicui anche nelle roccaforti bianche del Triveneto e della Lombardia: a Verona, Padova,Trento. Oppure a Bergamo e Brescia, dove gli stessi nipoti di Paolo VI, i Montini, di mestiere fanno gli immobiliaristi. A metà degli anni ‘90 i beni delle missioni si aggiravano intorno ai 800-900 miliardi di vecchie lire, oggi dovrebbero valere dieci volte di più. Secondo un’approfondita inchiesta de Il Mondo del 2007 la vera svolta sul business del mattone in Vaticano arriva alla fine del 2002 con la nomina del cardinale Attilio Nicora alla presidenza dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica). Attilio Nicora viene scelto da Giovanni Paolo II in persona. È una figura centrale nel panorama della Santa Sede. Arrivato al vertice dell’Apsa cerca di far ordine nel portafoglio immobiliare della Santa Sede, con le stesse logiche dei banchieri da lui frequentati. Legatissimo ad Angelo Caloia, il banchiere del Mediocredito centrale che si è fatto interprete del rinnovamento dello Ior dopo il crac dell’Ambrosiano, Nicora è stato per tutti gli anni ’90 assistente spirituale e stimolatore di un ristretto cenacolo milanese, il gruppo Cultura Etica e Finanza, nato per «porre a confronto il cattolicesimo col travolgente imporsi del primato economico-finanziario». Nicora diventa presidente dell’Aspa il 1° ottobre del 2002 a quasi due anni del Grande Giubileo del 2000, in un momento cruciale per l’Orp, l’Opera romana pellegrinaggi. Col Giubileo, infatti, c’è il boom del turismo religioso, un fenomeno che acquista l’attenzione crescente delle alte sfere della Chiesa. Intorno a questo nuovo business si è sviluppata l’Opera Romana Pellegrinaggi di Monsignor Liberio Andreatta, cui fa capo l’agenzia viaggi Quo Vadis. Insieme al gruppo Cit la Santa Sede aveva anche messo a punto un progetto molto ambizioso per creare, a Pietrelcina, il luogo natio di Padre Pio, un polo turistico religioso, con 76 milioni di investimenti: poi la crisi dell’operatore viaggi ha fermato tutto. In tutto il paese si contano circa 3.300 case per ferie gestite da enti religiosi, con un giro d’affari annuo stimato in 4,5 miliardi. Solo a Roma e nel Lazio, come rivela La Repubblica, vi sono un centinaio fra “case per ferie”, “case vacanze”, “rifugi per pellegrini”. Si tratta di strutture ecclesiastiche riconvertite in veri e propri hotel che hanno invaso la città. Tra queste c’è l’ex convento delle suore oblate di Santa Maria dei Sette Dolori di via Garibaldi 27, che oggi si chiama Donna Camilla Savelli Hotel ed è gestito da una società privata: il palazzo, progettato dal Borromini, offre 78 camere di cui 9 suite che costano da 200 a 650 euro a notte e pacchetti che comprendono il biglietto per i Musei Vaticani. O la Domus Carmelitana Sant’Alberto Patriarca di Gerusalemme, con tanto di rifugio per la preghiera e vista sul Castel Sant’Angelo, intorno ai 100 euro a notte. Un business di tutto rispetto: il turismo a Roma e provincia, lo spiega il presidente di Federalberghi Roma, Giuseppe Roscioli, “porta un indotto di 6 miliardi e 900 mila euro all’anno”. E “il 10 per cento almeno lo realizzano le strutture legate alla Chiesa”.

L.U.F.

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