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Il piano di Bannon per l’Europa può funzionare solo in Italia e Olanda

di Francesco Russo – Il progetto di Steve Bannon per l’Europa, una rete di sostegno transnazionale alle formazioni politiche sovraniste, rischia di naufragare in partenza a causa sia degli ostacoli legali che molti Stati membri della Ue pongono ai finanziamenti esterni che alla forte diffidenza dimostrata dalle destre del vecchio continente. The Movement’, la creatura dell’ex capo stratega di Trump, si propone due obiettivi principali in vista delle elezioni del maggio 2019. Il primo è fornire agli aderenti un servizio di consulenza che si occupi di strategie elettorali, sondaggi e analisi, ovvero servizi che in molti Paesi vengono considerati di valore economico e quindi equiparati ai finanziamenti. Il secondo, il più importante, e aiutare i partiti coinvolti a reperire fondi.
Secondo un’inchiesta del Guardian, sono solo due le nazioni europee dove il progetto non incontra ostacoli giuridici e può contare su partner interessati. La prima è l’Olanda, la seconda è l’Italia. A potersi avvalere dei servizi di Bannon sarebbero dunque solo il Partito delle Libertà di Geert Wilders nei Paesi Bassi e, nel nostro Paese, la Lega e Fratelli d’Italia. Negli altri due Stati dove i finanziamenti esteri sono consentiti, la Danimarca e la Svezia, i partiti candidati all’adesione hanno invece respinto l’offerta al mittente. Il Partito del Popolo danese ha definito l’iniziativa “irrilevante” e i Democratici Svedesi hanno manifestato la stessa mancanza di entusiasmo. Stessa cosa in Finlandia, dove esistono adeguate scappatoie normative ma il partito dei Veri Finlandesi ha fatto sapere che “probabilmente” rifiuterà la proposta.
Perché Bannon non convince gli europei
Il dato più interessante è proprio quest’ultimo. A prescindere dalle barriere legali, divenute più restrittive in seguito al timore di interferenze russe, Steve Bannon semplicemente non piace a molti nazionalisti europei. La sua offerta d’aiuto a molti non sembra disinteressata e ricorrere a un burattinaio statunitense non è proprio il massimo del sovranismo. E poi c’è la politica estera. Se un rapporto più cordiale con Mosca è considerato in modo favorevole da molti partiti, anche al di fuori della destra sovranista, altri capisaldi della strategia di Bannon vengono accolti con maggiore scetticismo. Prima di tutto, viene respinta la ricerca di una contrapposizione con la Cina, che fa apparire Bannon come un cavallo di Troia dell’area più belligerante del ‘deep State’ di Washington. In secondo luogo, non convince troppo una difesa a oltranza di Israele spinta fino allo scontro con l’Iran e, più in generale, con l’Islam sciita, che la destra meno appiattita sull’atlantismo considera invece un baluardo contro i terroristi. Infine, più banalmente, Bannon rimane un americano che pensa come un americano e vede il mondo come un americano. “Cosa c’entra con noi?”, si chiedono in tanti dall’altra parte dell’Atlantico, “Cosa vuole da noi?”.
Sono infatti solo due anche i Paesi europei dove, in mancanza di restrizioni, Bannon troverebbe una sponda. Il primo è la Spagna, dove Vox, piccola formazione di estrema destra, vede ‘The Movement’ di buon occhio. Il secondo è il Belgio, il Paese di Mischael Mordrikamen, l’uomo scelto da Bannon per coordinare ‘The Movement’ in Europa. Il suo Parti Populaire è però altrettanto marginale, mentre il partito di ultradestra fiammingo, il Vlaams Belang, non sembra troppo interessato.
In diverse altre nazioni, invece, anche se i finanziamenti esteri fossero consentiti, l’iniziativa di Bannon non incontrerebbe comunque fortuna. In Germania Alternative für Deutschland ha già declinato l’offerta. In Francia è più ambigua la posizione del Rassemblement National di Marine Le Pen. ?”È un americano, non un europeo”, aveva dichiarato appena un mese fa la leader della destra transalpina, “non ha un ruolo da giocare nel salvataggio dell’Europa”. Qualche giorno dopo, in seguito a un colloquio chiarificatore, Le Pen si è mostrata più possibilista. Ma senza sbilanciarsi ancora, forse in attesa di capire meglio le mosse dell’amico Salvini.
E che dire del blocco di Visegrad? Nella casa natale del sovranismo europeo, Bannon non trova spiragli. Il partito Libertà e Giustizia al governo in Polonia di avvicinamento alla Russia non vuole nemmeno sentire parlare e, in Repubblica Ceca, il presidente socialdemocratico Miloš Zeman ha affermato di essere in “assoluto disaccordo” con le posizioni dell’ex chief strategist della Casa Bianca. Perché (è sempre bene ricordarlo) l’euroscetticismo di Visegrad non guarda necessariamente a destra. Sia a Praga che a Bratislava sono stati partiti di estrazione socialista a chiedere maggiori limiti all’immigrazione e freni al processo di integrazione comunitaria, avvicinandosi di conseguenza all’Ungheria di Viktor Orban.
Già, Orban. Considerato, se non il leader di fatto, il “padre nobile” del sovranismo europeo, il primo ministro ungherese ha un progetto molto chiaro, e condiviso in Austria (dove parimenti Bannon non trova sponde) dal cancelliere austriaco Sebastian Kurz: restare nella famiglia dei Popolari Europei e, dopo maggio, spostare a destra l’equilibrio del Ppe e costruire un’alleanza con i nazionalisti. Uno scenario che, chissà, potrebbe offrire a Salvini un motivo in più per far saltare il banco e tornare con Berlusconi.
E se a Bannon restasse solo l’Olanda?
Cosa ne pensa di questo quadro l’interessato, che il mese scorso aveva asserito di aver già investito un milione di dollari di soldi suoi nel progetto? “Non sono in totale disaccordo”, ha replicato Bannon intervistato dal Guardian, “credo che in alcune aree ci sia più flessibilità ma non infrangeremmo mai la legge”. E come rispondere alle preoccupazioni di chi, come Le Pen, teme che ‘The Movement’ possa concretizzarsi come un’influenza esterna a tutti gli effetti? “È molto diverso dalla Russia, o dalla Cina o da altri attori che cercano di avere influenza perché sono un privato cittadino e non sono associato alla Casa Bianca”, spiega.
Fatto sta che, se l’Italia attuerà la stretta promessa sui finanziamenti esteri ai partiti, a ‘The Movement’ resterebbe solo l’Olanda. “È pur sempre un inizio”, ribatte Bannon, sostenendo che la sua operazione non sta fallendo e che c’è il tempo di reclutare altri partiti: “Alcuni non ammetteranno di aver aderito fino alle elezioni europee, sto effettuando tutte le ricerche e le analisi a prescindere dal fatto che un Paese sia dentro o meno”.
Più pessimista Modrikamen, che solo sei settimane fa ha scoperto che il suo partito non può ricevere contributi da ‘The Movement’. “È stato un po’ frustrante per me”, ha confessato al Guardian, “mi sarebbe piaciuto avere un padrino, un benefattore”. Il politico belga ha anche ammesso di aver scoperto solo ora che, in gran parte d’Europa, gli ordinamenti pongono gli stessi problemi che lui ha riscontrato in patria. Il che significa aver scoperto di aver lavorato a un progetto che in larga parte non si poteva attuare e che rischia di essere morto sul nascere. Che Modrikamen non conoscesse le leggi europee è solo una parte del problema. L’altra è l’insufficiente comprensione della politica europea che Bannon ha dimostrato finora. E per rimediare sembra già troppo tardi.

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