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L’enfatico sdegno per la Shoah può distogliere l’attenzione da altri mali

di Andrea Rovere – Il Giorno della Memoria, nel quale si commemorano ogni anno le vittime dei campi di sterminio nazisti, è un momento assai delicato. Non solo per ciò che si va a ricordare e per l’indubbia necessità di farlo, ma anche perché, sotto sotto, a questa giornata si accompagnano tanto il sincero cordoglio quanto un senso di disagio popolare inconfessato e crescente. Molti provano sottile irritazione e i più non sanno neanche spiegarsi bene il perché. In fondo, parliamo di gente che riconosce appieno la tragedia della Shoah e il male connaturato ad essa, gente che condanna senza se e senza ma la follia antisemita e ogni forma di discriminazione, e che nondimeno davanti alle omelie di Mattarella, alle solite frasi di molti politici italiani ed esteri, al tripudio di speciali Tv, documentari, interviste e film che per una settimana buona sono proposti con l’intento di scongiurare eventuali indulgenze verso quella che fu un’autentica barbarie, ebbene tutta questa gente, che pure è gente di buoni sentimenti, cambia canale. Vi è il dolore, la compassione, il disgusto per carnefici e negazionisti, e tuttavia, in un angolo da qualche parte, eccolo là, il fastidio. Ma fastidio per cosa? Il solito facilone perbenista tirerebbe subito in ballo una qualche forma di razzismo latente, riscontrando in questo l’evidenza del fatto che ancora non ci si sia prodigati abbastanza per educare al bene estirpando fino all’ultimo seme oscuro dal quale possa germogliare tanta crudeltà. Ma come spesso accade, il perbenista si troverebbe in errore, vittima dei propri preconcetti e di una superficialità disarmante. Tant’è che il punto è un altro: l’ipocrisia. Non quella dei superstiti ospitati nei talk show, o di chi realizza pellicole di grande valore sul tema (è ovvio che, costoro, ipocriti non lo siano affatto), bensì di buona parte delle istituzioni, del mondo politico e giornalistico, nonché dell’industria culturale di un Paese e di un Occidente ormai ridotti ad una barzelletta che non fa ridere.

Occorrono distacco e chiarezza
Ora, siccome in questi casi sono tutti pronti a fraintendere anche un sospiro, ribadiamolo con forza: la condanna ai crimini del nazismo deve essere integrale e categorica. Su questo non esistono e non possono esistere dubbi. Quello che invece può e deve essere criticato proficuamente (senza timore d’infrangere un tabù), attiene semmai alla contraddizione fra la retorica di chi, politico o intellettuale, ammonisce in questi giorni circa la presenza del male sulla terra, di cui la Shoah costituirebbe rappresentazione suprema, e la prassi di negazione operata quotidianamente circa ingiustizie terribili che si ripropongono nel presente con ciclica regolarità. Sentire ad esempio i governi statunitensi (sempre ossequiati dai loro lacché in Europa) pronunciarsi circa “il male assoluto” dopo aver prodotto fra i venti e i trenta milioni di morti dal ’45 ad oggi con la scusa vergognosa di “esportare la democrazia”, be’, questo è francamente inaccettabile. E non perché ciò che è accaduto sotto il nazismo non fosse davvero un male assoluto (lo era eccome) e non si debba continuare a rivendicarne la condanna, ma perché attraverso la volontà di stigmatizzarlo come “il Male”, con la maiuscola, si è andati a rendere passibile di minimizzazione tutto ciò che, pur essendo male, può tuttavia trovare attenuanti poiché al di fuori di un certo ordine simbolico. Non è infatti un caso che, quando ci si prepara a rovesciare un qualche governo, o se ne auspica la caduta, si tenti sempre di raffigurare l’immagine del dittatore senza scrupoli, nemico dei diritti civili, della democrazia, inducendo così l’idea di un rigurgito del Male per ottenere la legittimità popolare a commettere qualunque delitto, essendo che col Male non si scende a patti: lo si elimina. Per di più con un ghigno ributtante in volto, come quello dell’allora Segretario di Stato americano Hillary Clinton a seguito dell’assassinio di Mu?ammar Gheddafi, tolto di mezzo, non certo per liberare chicchessia dall’oppressione, ma per mera strategia (geo)politica e in totale disinteresse delle prevedibili conseguenze nel Medioriente e in Europa.

La troppa enfasi nasconde sempre qualcosa che non va
Il fatto allora che chi si spende in tv con particolare veemenza ogni qualvolta vi sia da condannare l’olocausto (ed è bene lo si continui a fare), sia poi spesso anche colui che tace o addirittura legittima le peggiori infamie della contemporaneità (guerre e neocolonialismo compresi), che se ne infischia degli attuali problemi dei ceti medio-bassi favorendo la grande finanza speculatrice, e che dimostra tutta la propria meschinità mostrando imbarazzo al solo rammentargli che, ad esempio, all’ombra della libertà a stelle e strisce si siano tenuti i neri alla catena per più di cento anni (solo una manciata di decenni fa, in alcuni stati americani, vi erano ancora posti separati sugli autobus per bianchi e neri), ebbene questo fatto dà contezza del punto a cui si è arrivati e del perché, senza i necessari correttivi, si rischi davvero d’innescare meccanismi per certi versi simili a quelli che si vorrebbe scongiurare. Tanto più che la gente percepisce ormai che qualcosa non quadra, che ad un’enfasi crescente corrisponde una crescente ipocrisia, e da qui la sua irritazione.

Dare alle cose il loro peso
Su tutto questo non si può più tacere, e bisogna essere molto chiari. Ciò presuppone allora che si sgombri il campo da ogni possibile equivoco, poiché qui non si tratta di operare comparazioni fra tragedie come tentano ogni anno alcuni vecchi arnesi dell’anticomunismo militante (in tutto e per tutto speculari a quelli che agitano ogni due per tre lo spauracchio fascista), reclamando maggiore attenzione al dramma delle foibe, ai gulag sovietici eccetera. Che la storia sia costellata da genocidi ed atrocità di ogni tipo, non dovrebbe essere un mistero (basti pensare a quanto successo nelle Americhe, dove tre civiltà sono state completamente azzerate – Inca, Maya e Aztechi – ed una ridotta al lumicino – i nativi nord americani –, o a ciò che tuttora accade in Africa), per cui si ha l’impressione che della memoria (selettiva) si faccia in certi casi un utilizzo meramente strumentale. Nell’ammonire con insistenza circa presunti rigurgiti nazi-fascisti sempre pronti ad esplodere non appena si abbassi un poco la guardia, vi è infatti, sì la buonafede di chi comprende quanto sia realmente importante non abbassarla, questa guardia, ma nondimeno, e troppo spesso, l’ombra della volontà di ricondurre al passato per ingannare la percezione collettiva circa i nemici del presente. Parliamoci chiaro: l’esercizio della memoria è fondamentale, specie in relazione a certe tragedie storiche affinché non si ripetano. Quando però chi fa sfoggio di tali alti ideali in pubblico coincide con chi ha approvato il fiscal compact e il pareggio di bilancio in costituzione, ha benedetto tutte le guerre imperialistiche USA e i vari tentativi (falliti e andati a segno) di “regime change” degli ultimi vent’anni, glissa sul fatto che nella Casa dei Sindacati di Odessa sia avvenuto nel 2014 un vero e proprio putsch neo-nazista avallato dal Governo filo-americano di Kiev e, in generale, mente con sempre maggior spudoratezza su una moltitudine di temi di primario interesse pubblico, è ovvio che, a lungo andare, la ricezione di certi “input” da parte delle masse presenti delle distorsioni. E quella irritazione da cui siamo partiti ne è un indicatore preciso ed inquietante, poiché disvela la necessità urgente di guardarsi, non solo dal male che ha generato tragedie come l’olocausto nazista, ma anche da quelle buone intenzioni le quali, se intrise di ipocrisia e manipolate dal potere per finalità altre, rischiano di condurre parimenti all’inferno.

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