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CITTADELLA DI ALESSANDRIA

C'è chi aspetterà a lungo il crollo della cittadellaSPERANDO CHE CROLLI DA SOLA

Quale inopinato destino il contradditorio volere degli dei dell’olimpo politico cittadino ha riservato alla sventurata Cittadella di Alessandria? Di colpo, come risvegliati da un improvviso squillo di tromba, politici locali, e persino uno di loro trasmigrato da tempo al Parlamento Europeo, da sempre così silenzioso che tutti lo davano per disperso, che mai e poi mai si erano occupati della Cittadella e nemmeno avevano mostrato sentire alcuno per l’infame distruzione del suo ponte hanno iniziato a muoversi, ad agitarsi e persino a scrivere documenti. Ma cos’è stato ad infrangere il loro storico letargo? Forse una laica conversione sull’impervia e pressoché sconosciuta via della civiltà? Oppure una collettiva presa di coscienza seppure in pluridecennale ritardo? O più giustamente a destarli è stato il latrare affamato dei progettisti di rovine e dei costruttori di macerie da tempo in attesa, con la plumbea pazienza dell’avvoltoio, attorno alle agognate mura della Cittadella? Certo, che se trascuriamo le fallaci parole elargite alle folle riguardo al futuro dell’importante fortificazione, rifacendoci unicamente ai documenti ufficiali, unici che abbiano un autentico valore, anche il più pessimistico dubbio rischia di trasformarsi in certezza. Si comincia con un documento, un vero e proprio libro, scritto dall’ingegner Calorio, allora Assessore ai Lavori pubblici del Comune di Alessandria, in cui, dopo avere pianto lacrime strazianti per la distruzione del sobborgo di Borgoglio avvenuta nel 1728 con la costruzione della Cittadella, ne invoca la ricostruzione come doverosa sanatoria di un’ingiustizia della Storia. In parallelo sostiene che Alessandria è “una città squilibrata” perché sorge su un solo lato di un fiume, il Tanaro, anziché a cavallo dello stesso. E avanti così delirando sciocchezze senza però dimenticare la pratica possibilità di una strada che l’attraversi portando ai ricchi terreni edificabili di San Michele. Tramontato l’astro Calorio, ci riprova la Calvo con uno studio commissionato ad una docente dell’Università di Architettura di Torino dall’irripetibile titolo chilometrico meglio conosciuto come il “metaprogetto”. È una apoteosi della presenza del privato. Ma un privato ubriaco e demente con un cattivo gusto da baraccone da fiera in un’orgia di bastioni e caserme sventrate, sopralzi, facciate demolite, vetrate sbelluccicanti, di tutto e di più, senza intelligenza e ragione che se attuato sarebbe ancora più inaccettabile, ripugnante e vergognoso della stessa demolizione. È una mostruosità architettonica, ma  qualche tempo dopo viene ripresa dalla sezione Urbanistica della Provincia che la ripubblica con un diverso titolo, anche se identica nei contenuti. Succede un qualcosa di strano all’interno dei palazzi del potere e si inventa che per incidente tutte le copie  sono bruciate e per tanto non vengono distribuite. E poi arriva il ponte Meier che molti sospettano essere un cavallo di Troia per entrare in Cittadella. Non si sa infatti con esattezza quale sia la sua vera lunghezza e se non termini all’interno della fortezza stessa. Ed intanto si ricomincia a parlare della mitica strada che porterebbe agli agognati terreni edificabili di San Michele. Contemporaneamente circolano voci di incarichi da darsi all’Università di Torino, con le sue bande di architetti alla fame, disposti per sopravvivere a qualsiasi nequizia. A questo punto sia concesso anche al vostro umile cronista di esporre un timido pensiero a riguardo. Il problema della Cittadella è solo un frammento a latere del grande problema di Alessandria. Tutto nasce da un solo motivo: una voracità priva di intelligenza e cultura associata alla credenza che un gruppo di analfabeti possa sostituire un intellettuale. Riguardo al che fare della Cittadella non sarebbe male se i nostri amministratori andassero a vedere (a loro spese, come fatto da chi scrive queste note) come in Europa e negli Stati Uniti sono state ottimamente utilizzate storiche fortificazioni. La smetterebbero così di sperare che le piante, lasciate volontariamente crescere sui tetti della Cittadella, la danneggino al punto da renderne impossibile qualsiasi utilizzo facendola crollare. È lo stesso gioco già fatto quando si sono rifiutati di riparare il rilevato sotto il ponte sul Tanaro sperando così che crollasse da solo e non rischiare una denuncia per averlo abbattuto illegalmente. Solo che allora l’hanno fatta franca per generale complicità. Con la Cittadella, citata sui testi di architettura militare di tutto il mondo, sarà assai più difficile riuscirci.

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