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Finalmente gli zucchini!

di Andrea Guenna – Dopo aver sentito parlare di dolci golosi, nonostante che il goloso sia chi mangia e non chi è mangiato, e dopo aver sentito sciocchezze linguistiche tipiche di chi non studia ma gioca confondendo la realtà con la finzione, devo compiacermi con la pro loco di Quattordio che con orgoglio annuncia la sagra dedicata agli zucchini. È risolta così la vexata quaestio sul genere di queste cucurbitacee che sono altra cosa rispetto alle zucche, per cui anche se dovessero assumere dimensioni gigantesche non arriverebbero mai ad essere zucche ma zucchini giganti. E mi compiaccio anco più col sindaco di Quattrdio che ha apposto a questi saporiti vegetali la Denominazione Comunale spiegando in locandina che “Questa è la festa dell’orgoglio quattordiese. L’orgoglio di essere dei sicot”, ovvero zucchini. La sagra dedicata agli zucchini è una delle più famose del Piemonte. Prima di tutto per quel nome dialettale – sicot – utilizzato anche sui manifesti e poi per la ricchezza e la bontà dei piatti, sempre di qualità altissima. La sagra, alla quarantaquattresima edizione, coincide anche coi festeggiamenti patronali. Iniziata ieri, durerà fino a lunedì (compreso). Non c’è niente da fare, ancora una volta è la tradizione a salvarci e a farci ritrovare le nostre radici aiutandoci a capire chi siamo. Sì perché oltre al dolce goloso e alle zucchine, di storpiature e bestialità linguistiche ne abbiamo a iosa. Per esempio, qualcuno negli ultimi tempi tenta di far passare la tradizionale “cerimonia del campanello” in occasione del passaggio di consegne tra un premier e l’altro, come la “cerimonia della campanella”.

L’accademia della Crusca alza bandiera bianca
Per chi, come me, l’Italiano è uno strumento di lavoro, corre l’obbligo rispettarlo e preservarlo da possibili contaminazioni anche se, non molto tempo fa, il professor Claudio Marazzini, presidente dell’Accademia della Crusca, ha dichiarato pubblicamente che la difesa della lingua italiana è ormai quasi una battaglia persa in quanto il travolgente idioma dei social sta avendo la meglio sul resto. E abbiamo, talvolta, il verbo avere che al presente indicativo ha perso l’acca iniziale, gli apostrofi che diventano accenti, le desinenze che perdono le vocali per cui disegniamo diventa disegnamo, e via dicendo. I lemmi, i verbi, la grammatica, la sintassi sono regole che non dovrebbero cambiare, altrimenti è il caos e si finisce per non capirsi più, il che è pericoloso per tutti. E non sto esagerando perché Yahweh per punire gli uomini che avevano costruito la Torre di Babele, li ha condannati a parlare lingue diverse affinché non si capissero fra loro e, a causa delle mille incomprensioni, iniziassero a farsi la guerra ammazzandosi senza pietà. Tornando alla famigerata campanella, c’è da dire che l’inizio dell’anno scolastico è scandito dal suono del campanello perché fra driiin ed è elettrico. Infatti un conto sono le campane, altro sono i campanelli che sono elettrici, a pressione, per la bicicletta, solo per citarne alcuni. La lingua è importante in quanto espressione della cultura d’un popolo, della sua tradizione, della sua storia. Dire o scrivere campanella per indicare lo strumento che suona per dare il via alle lezioni a scuola, è un po’ come se si scrivesse carrozza per indicare un’automobile. D’altronde il grido d’allarme del professor Marazzini è la dimostrazione che neppure l’Accademia della Crusca ormai riesce a spuntarla contro la diffusa nonché tracotante ignoranza che sta causando la progressiva caduta nel gorgo della barbarie per cui, di questo passo, finiremo come ai tempi dell’Impero Romano d’Occidente che dovette arrendersi ai barbari vincitori. Anche in quella circostanza il Latino cedette piano piano al volgare figlio del latino maccheronico. Ma per fortuna poi vennero Dante che rimise le cose a posto, e poi il Manzoni.

Una lingua perfetta sotto i colpi della barbarie
Mi preoccupo perché la nostra bella lingua non è più la stessa, nel senso che non subisce una naturale evoluzione ma è stravolta e si dibatte nel caos. Ultimamente si nota sempre più spesso che in molti non sanno maneggiare neppure gli articoli indeterminativi e dimenticano che al femminile, avendo a disposizione solo l’articolo “una”, lo stesso se incontra una vocale deve essere apostrofato, mentre al maschile, essendoci le due opzioni “un” e “uno”, l’apostrofo non serve mai. Ebbene, nel caso si dovesse apostrofare un aggettivo che inizia con una vocale, sono dolori perché leggo sempre più spesso di neutri (che sono sia maschili che femminili) come, per esempio, “autorevole”, “intelligente”, “esuberante”, “affascinante” che, nel caso siano riferiti ad una donna, e iniziando con una vocale, dovrebbero imporre l’apostrofo all’articolo indeterminativo che li precede, mentre si legge “un autorevole”, “un intelligente”, “un esuberante”, “un affascinante”, invece di “un’autorevole”, “un’intelligente”, “un’esuberante”, “un’affascinante”, il che consentirebbe, in assenza di altri elementi, di identificare immediatamente il sesso della persona in oggetto anche solo tramite un semplicissimo apostrofo. Per esempio, una cosa è scrivere “un’autorevole presidente”, altra cosa è scrivere “un autorevole presidente” poiché nel primo caso ci riferiamo a una donna e nel secondo ad un uomo.

Strafalcioni ad libitum
Ecco la perfezione e la completezza della nostra lingua a differenza delle altre, una lingua che ha tremila anni di storia, partendo dal greco, passando dall’etrusco, arrivando al latino per arrivare a noi. Una lingua che stiamo violentando in nome d’una rivoluzione inutile e dannosa, mentre sarebbe meglio farne una utile (in questo caso “una” è scritto senza apostrofo in quanto è diventato sinonimo di rivoluzione e non è più un articolo) per mandare a quel paese chi ci sta rovinando la vita con la finanza e la globalizzazione a scapito di tutto il resto. A molti di noi non rimane altro che il pessimo trastullo di storpiare l’italiano e si arriva a dire, parlando d’una persona tutta d’un pezzo, che “ha la schiena diritta” mentre una volta si diceva che “andava a testa alta”, il che presuppone pure di avere la schiena diritta, ma con un altro significato in quanto l’avere la schiena diritta ha sempre identificato un fannullone che non ha voglia di lavorare. Poi ci sono quelli che sanno male l’italiano e l’inglese ma nel dubbio fanno capo al secondo e storpiano il primo. Per esempio, parlano di preziosità mentre in italiano si dovrebbe dire pregio. Oppure di emozionale, mentre in italiano si dovrebbe dire – distinguendo – emotivo od emozionante. E nascono nuovi aggettivi, del tutto impropri, come quello che tizio è una persona solare invece di aperta, gioviale, simpatica, estroversa, in quanto di solari ci sono solo le fasi e i pannelli fotovoltaici.

Neologismi sballati e fuorvianti
Gli è che anche chi ha studiato ormai si lascia sopraffare dall’ignoranza, come i magistrati che non hanno mai protestato per l’aggettivo o pronome deverbale “indagato”. Infatti il verbo indagare è intransitivo, ma le cancellerie lo usano (meglio, ne abusano) in senso transitivo: “il registro degli indagati”, “io indago lui”, “lui è indagato”. Dovrebbe dirsi invece il registro degli inquisiti: “io inquisisco lui”, “lui è inquisito”, proprio perché inquisire, a differenza di indagare, è verbo transitivo.
E che dire di quei politici e di quei giornalisti che chiamano Consulta la Corte Costituzionale? Dovrebbero sapere che la Consulta era (ed è in ogni caso) un organo consultivo della Chiesa prima della Breccia di Porta Pia e risiedeva nel palazzo che oggi è occupato dalla Corte Costituzionale che, tuttavia, non può essere una consulta, proprio perché è il massimo tribunale del Paese quindi un organo giudicante, quindi deliberante. Ma loro leggono “Palazzo della Consulta” e sono convinti che la Suprema Corte sia un organo consultivo.
Poi ci sono quelli che scambiano l’aggettivo “alcun-o” con “nessun-o”. Stiamo parlando dell’italiano e non del francese dove si usa sempre “aucun” alcuno, che, tradotto in italiano, dà sia “alcuno” che “nessuno”, a seconda dei casi. Se in coppia con l’avverbio “non”, in italiano la forma corretta è solo quella con nessuno: “Io non ho nessun problema a spostarmi”, e non invece: “Io non ho alcun problema a spostarmi”.

Donne “in cinta”
Non parliamo poi di quelli che confondono l’accento con l’apostrofo: “Dammi un po’ di pane” diventa per loro: “Dammi un pò di pane”. Quelli che usano impropriamente l’accento non sanno che “po’” vuole l’apostrofo in quanto forma apocopata (da apocope) di poco. E da apocope deriva, appunto, il termine apostrofo. Perfino molti laureati sbagliano, a dimostrazione che la laurea non fa diventare colti perché la cultura si acquisisce in famiglia (ma, ahimé, la famiglia è esplosa) ma soprattutto a scuola, alle superiori (purtroppo non c’è più il liceo serio di una volta) e con studi classici che donano una formazione armoniosa e culturalmente completa.
Ma c’è anche chi è convinto che incinta sia in effetti una forma sintattica composta dalla preposizione semplice “in” e da un ipotetico avverbio “cinta”, e non si tratti invece d’un aggettivo esclusivamente femminile che si scrive “incinta”, un deverbale dall’arcaico “incingere” concepire. Ebbene questi qua – mi riferisco anche a letterati, medici, giornalisti – parlano disinvoltamente di donne “in cinta” anziché di donne incinte, che è il corretto plurale di incinta. E casca l’asino.
Come diceva, credo, lord Brummel, è dai particolari che si riconosce qualcuno o qualcosa, che, nel nostro caso, è una persona colta.

E… buona serata a tutti!
Temo che, oltre a internet, ci abbiano rovinato anche le lingue straniere, soprattutto il francese e l’inglese che hanno inquinato l’italiano. Per esempio molti credono che il pronome inglese you significhi “tu”, mentre può significare anche “voi”. Alla Regina ci si rivolge con you che in questo caso è un “voi”, ovviamente. Questo errore, a noi che siamo esterofili, ha creato un sacco di confusione per cui, volendo imitare i sudditi di Sua Maestà, non sappiamo più quando salutare con ciao o con buongiorno e buonasera. Per tagliare la testa al toro oggi si saluta sempre più frequentemente coi generici buona giornata e buona serata che van bene sia col tu che col lei (voi in inglese). Insomma, noi italiani, beneficiari della lingua più bella e completa del mondo, importiamo termini linguistici dai barbari e li mescoliamo ai nostri. Usiamo la lingua degli altri e non ci rendiamo conto di quanto sia bella la nostra. E i barbari, alla fine, siamo noi.
Ma per fortuna ci sono quelli di Quattordio che organizzano la sagra dello zucchino. Quasi quasi ci vado, dicono che si mangi benissimo.

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