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PD E PDL HANNO BISOGNO L’UNO DELL’ALTRO

di Piercarlo Fabbio
Ora occorre un pizzico di realismo in più. Contestualmente bisogna fare a meno dell’ipocrisia a fiumi che ha fin qui governato il triangolo PDL-Berlusconi-Letta. Prima questione. La vicenda dell’agibilità politica di Silvio Berlusconi si è intricata al punto che pare indipanabile. Ma anche l’ultimo pescatore sa che la “parrucca” più complessa ha, prima o poi, un capo e una fine. Qual è l’obiettivo realistico del PDL: salvare il proprio leader da gogna certa. Se così non succedesse sarebbe lo stesso partito a soffrirne a tal punto da rischiare l’implosione. Il problema è che lo sa anche il PD, che però è inconsapevole di una cosa – peraltro già successa dopo il funerale del PCI. Simul stabunt, simul cadent: difficile che regga il PD se si sfascia il PDL, pur se l’ex Quercia può contare su un fenomeno di buon appoggio mediatico come il Sindaco di Firenze, neppure lui può da solo sorreggere un sistema cadente. Allora, se lo sa, qualche elemento di generosità in più sulla vicenda Berlusconi potrebbe essere inserito. Il tempo non sempre aiuta. L’averlo perso, fin qui, ha già escluso un possibile protagonista come il Presidente della Repubblica. E non è poco come indebolimento del sistema. Berlusconi ai servizi sociali è una vergogna – invidie ed opposizioni infrangibili a parte – che non ci possiamo permettere. Non tanto sul fronte interno, quanto su quello internazionale. Dall’altra parte c’è il governo del Paese (seconda questione). Letta sa che il caso B. non può non indebolirlo. Per questo lo sa anche Renzi. Certo che appare ipocrita anche solo il negarlo. Le due cose sono legate e basta! Se Letta vuol far procedere il proprio Governo non può contare solo sulle sue forze e su quelle dei ministri-colombe del PDL, che peraltro sono pochi e rischiano di essere travolti nel partito dalla muta di coloro che dovrebbero cercare più soluzioni atte a salvare B. piuttosto che a distruggere il Governo. Dal punto di vista sottrattivo ha ragione Letta: governo e caso B. sono due cose diverse. Ma qui non si lavora che per addizione. Questo è il quadro, ove nel PDL mi sembra si cerchino soluzioni di giornata, che domani saranno spazzate via dalla prima debole controffensiva dell’avversario. Il consiglio? Smetterla di pensarla secondo le categorie fin qui messe in piedi e raccogliere la sfida della realtà. Siamo in congiuntura, per un partito che nasce occorre ben altro, inutile pensare che il suo futuro passi attraverso la risoluzione di due contingenze irripetibili: l’agibilità politica del leader dell’opposizione e il governo delle larghe intese, che nei desiderata dei partiti non è iscritto neppure con l’inchiostro simpatico. Oggi rischiamo di essere tutti falchi e tutti colombe, nel senso che si viene accecati dal mangime che è stato artamente disperso sul nostro cammino e nessuno si occupa della produzione dello stesso. E’ come se, dovendo scavare un’immensa galleria, ed essendo lì pronta a partire un’enorme talpa, ci si disputasse con violenza l’uso di un trapano. Tutti i contendenti sanno benissimo che quell’attrezzo non ci garantirà mai di costruire il manufatto. Allora, pur mantenendo, se piace, la dizione di lealisti ed innovatori (abbiamo conosciuto anche i dorotei che come nominativo non era proprio granché, Santa Dorotea a parte), occorre cambiare il ritmo: tutti alla sbarra a spingere per il caso B. e per il Governo. E non gli uni per l’”uno” e gli altri per l’”altro”. Non dividerci sulle quotidianità significa ottenere maggiore spinta sugli avversari e dare forma ad un partito nuovo che intanto sa che non intende dividersi, anche se non sa bene ancora come riempirsi di contenuti. Per ora ha due sub-contenitori possibili e questo alla fine è un dono della democrazia, di cui Alfano e Berlusconi vanno ringraziati. Un’agenda di cui anche gli avversari dovranno tenere conto.

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