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È italiana e precaria, la ricercatrice che ha isolato il Coronavirus di Wuhan

Milano (Sonia Oliva) – Si chiama Francesca Colavita. È originaria di Campobasso. Ha 30 anni e da sei anni lavora all’Ospedale Spallanzani di Roma. È precaria e guadagna 1.600 euro al mese. Circa ventimila euro all’anno. Una storia come tante, starete pensando. Vero. Però Francesca Colavita è una delle ricercatrici che sono riuscite ad isolare il Coronavirus di Wuhan. Un virus che, secondo gli ultimi dati, ha già fatto registrare 425 morti e più di 20.000 contagi. I primi due casi di decessi si sono manifestati anche fuori dalla Cina, e il Giappone ha messo in quarantena una nave da crociera con 3500 persone a bordo (2500 turisti e 1000 membri dell’equipaggio) perché un passeggero ottantenne è risultato positivo al Coronavirus. Attualmente la nave è ormeggiata nel porto di Yokohama e un comunicato della compagnia navale recita: “Secondo l’ospedale le condizioni del paziente sono stabili e non sono state riscontrate infezioni tra i membri della famiglia che viaggiavano insieme a lui”. In Europa, intanto, il numero di persone infette è salito a 18: cinque casi confermati in Germania, sei casi in Francia, uno in Finlandia, uno in Russia, uno in Svezia, due in Inghilterra e due casi in Italia. Una grande impresa quella di Francesca Colavita che, insieme alle colleghe Maria Rosaria Capobianchi e Concetta Castilletti, ha lavorato senza sosta. “Sembra strano ma studiare i virus è stimolante. È una sfida costante, una battaglia in cui stare sempre all’erta. Ho solo fatto il mio lavoro. Il lavoro che voglio, devo e mi piace fare. Nulla di più rispetto ai miei colleghi. In questi giorni è tutto amplificato, abbiamo avuto successo – ha dichiarato in un’intervista a Repubblica -. Nella ricerca – ha proseguito Francesca – non c’è sessismo, i problemi veri sono altri. La ricerca è importante per una nazione e sarebbe altrettanto importante fare investimenti a lungo termine per quello che riguarda i lavoratori. Lavoro da sei anni allo Spallanzani, prima con una collaborazione coordinata e continuativa (co.co.co.; n.d.r.) e adesso con un contratto annuale”. La sequenza parziale del virus, chiamata 2019-nCooV/Italy-INMI1 è già stata depositata nel database GenBank e sarà resa disponibile per la comunità scientifica internazionale. Francesca Colavita, aveva già contribuito alla ricerca trasferendosi in Africa per studiare il virus dell’Ebola e partecipare ai progetti di sicurezza in Sierra Leone. La ricerca scientifica è, senza ombra di dubbio, la base dell’esistenza. È importante per la crescita, per il lavoro, per migliorare la quotidianità e, soprattutto, per trovare le cure di patologie invalidanti o rare. Un lavoro, quello dei ricercatori, il cui operato troppo spesso non è valorizzato o, peggio ancora, è ignorato. Un’indifferenza che porta all’inevitabile “fuga di cervelli”. Menti brillanti, la cui missione è il miglioramento della vita altrui. Questo è uno dei tanti errori dello Stato italiano che, nonostante milioni di difetti, riesce comunque a distinguersi davanti al mondo con risultati da applausi, solo grazie alle capacità di coloro che poco considera, eccellenze italiane che fanno la differenza. E com’era prevedibile, isolato il Coronavirus, tutti i politici, nessuno escluso, si sono messi in prima fila per complimentarsi con la ricercatrice molisana. Un’impresa che ha sottolineato nuovamente l’efficienza del nostro sistema sanitario facendo però emergere il problema della carenza di fondi messi a disposizione dalle istituzioni per la ricerca, unitamente al numero di lavoratori precari.
“L’Italia – conclude Francesca – deve dare più dignità ai ricercatori. Il nostro lavoro non è un gioco, anche la più piccola ricerca è il tassello di un puzzle che porta cure ed effetti ma bisogna passare per i piccoli passi, esperimenti a volte molto basilari. Mi auguro che questa occasione possa contribuire a fra vedere la ricerca in modo diverso”.

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