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Nonostante tutto l’ospedale di Alessandria funziona grazie all’abnegazione di chi ci lavora

Alessandria (Sonia Oliva) – Se la distanza sociale rallenta la diffusione del virus, quella dall’ospedale di Alessandria lo scongiura. Battute a parte, la situazione nel nosocomio alessandrino non è tra le migliori.
“Siamo in trincea totalmente disarmati perché l’azienda, all’inizio dell’emergenza, non ci ha fornito i necessari strumenti di sicurezza, molti di noi sono stati contagiati dal virus e quei colleghi malati di Covid-19 non sono ancora rientrati in servizio perché positivi anche al secondo o al terzo tampone”.
Queste le parole di un operatore sanitario, dipendente dell’Ospedale Santi Antonio e Biagio, che da settimane lavora con procedure abborracciate in situazioni difficili (ad alto rischio di contagio) che, quegli uomini e quelle donne che da mesi chiamano “eroi”, devono cercare di arginare alla bell’è meglio.
Anche all’Ospedale di Alessandria sono stati approntati reparti Covid. È stata decisa la chiusura di metà delle sale operatorie per poterle trasformare velocemente e aumentare le postazioni di terapia intensiva. E, mentre da una parte la Direzione dell’Ospedale pensa e ripensa sul da farsi, dall’altra, medici e infermieri lavorano dimenticando di avere una loro vita, per cercare di salvare quella degli altri.
Una nota dell’Ospedale dice testualmente: “È stato effettuato lo screening su quasi il 90% del personale sanitario. Il tasso dei nostri dipendenti risultati positivi è circa il 6% (molto inferiore alla media delle regioni settentrionali) e circa la metà delle persone che si sono ammalate sono già rientrate”.
Solo il 6%? Un po’ difficile da credere. Secondo i soliti ben informati, anche in presenza di chiari sintomi da Covid-19, molto spesso i tamponi non sono stati fatti.
“Magari si fosse ammalato solo il 6% di noi sanitari! – prosegue chi ha trovato il coraggio di parlare – Il personale infermieristico di ogni turno è ridotto al minimo e, dall’inizio di marzo, sono stati sospesi gli interventi chirurgici, fatta eccezione per le urgenze e quelli non rimandabili. Un’altra grave criticità – aggiunge – è la procedura con la quale si fanno i tamponi. I pazienti sintomatici, i positivi, gli asintomatici in attesa di tampone per accertare la negativizzazione e le persone comuni che per vari motivi vengono in Ospedale, entrano senza distinzione e controllo da Via Venezia o da Spalto Marengo. Unica entrata. Unica uscita. Unico percorso. E poi si ritrovano ad attendere in coda il turno per fare il tampone, insieme al personale sanitario in malattia o quarantena. Tutti nel corridoio a piano terra, fuori dall’unico ambulatorio destinato ai tamponi, tra persone che tossiscono e hanno gli occhi lucidi per la febbre. Non è stata prevista neanche una stanza-tamponi, riservata a medici e infermieri”.
Come se non bastasse il Pronto Soccorso è un girone da Inferno dantesco dove, pare, non essere pervenuto il concetto base di “percorso Covid separato” e regnano sovrane confusione e contaminazione.
Ma niente panico. #vatuttobene.
Per la Direzione del Santi Antonio e Biagio, l’organizzazione interna è perfetta e i percorsi sono separati: “Tutti i dipendenti sono seguiti dal nostro medico competente – ha fatto sapere l’Ospedale di Alessandria -. È previsto un percorso tutelato e garantito per gli assunti, proprio volto a garantire la migliore presa in carico di ciascun dipendente, per evitare che sia rimandato al medico di famiglia e abbia nella propria Azienda una risposta veloce e puntuale”.
L’azienda ospedaliera Santi Antonio e Biagio, oltre ad essere Ospedale di riferimento per tutta la provincia, è anche l’unico in zona a Livello III (significa che ha competenze di alta specializzazione nei campi denominati “emergenze”).
Allora… perché Alessandria e dintorni sono l’epicentro dei contagi?
Sarà perché il Coronavirus ha trovato porte, finestre e pertugi dell’ospedale spalancati?
Sarà perché all’Ospedale manca un Covid-Manager in camice bianco o una Task Force dedicata? Sarebbe la diciassettesima.
Ormai, questo virus non è totalmente sconosciuto. Chi ne sa qualcosa ha spiegato che deriva da una zoonosi (una malattia che si trasmette dall’animale all’uomo), ha necessità di un ospite serbatoio, ha un tasso di trasmissibilità elevato ma, fortunatamente, non è mortale come, ad esempio, Ebola.
E allora, perché non sistemare i protocolli o modificarli?
Perché non dare direttive precise?
Perché non tutelare e proteggere medici e infermieri?
Perché non creare percorsi obbligati e ben divisi?
Che sia scoppiato un nuovo focolaio all’interno della direzione sanitaria dell’Ospedale? O è forse colpa degli alessandrini che hanno trascorso la quarantena a passeggio per i corridoi dell’ospedale?
#vatuttobene #speriamo

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