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Intercettato boss mafioso nigeriano: “Prego perché la tratta dalla Libia non finisca”

Riprendiamo da internet l’interessante servizio del collega Nicola Bossi scritto per Perugia Today a proposito di alcune intercettazioni della Polizia, dopo tre anni di indagini, che mettono in luce gli interessi esistenti intorno agli sbarchi dei profughi in Italia. In mezzo a chi veramente scappa dalla guerra e dalla fame, ci sono i nuovi schiavi. I racconti di chi ha subito di tutto e di chi invece fa soldi con prostituzione e droga

Perugia (Nicola Bossi) – Da Perugia, cuore verde d’Italia, a Lampedusa estrema frontiera che ci divide dall’Africa, la distanza in linea d’aria è di 846 chilometri, ma seguendo il percorso strada-traghetto-strada-traghetto addirittura i chilometri salgono 1.337. Una distanza importante. Eppure da Perugia, dopo le ultime due grandi inchieste della Questura su droga e prostituzione, si può incominciare a vedere bene cosa accadeva, cosa accade e forse cosa accadrà su alcuni di quei barconi mandati al massacro sul mediterraneo dalla Libia e destinati alle coste italiane della Sicilia. Uomini e donne dei barconi che al 90 per cento poi vengono direttamente prelevati dalle navi delle Ong in caso di pericolo. E dati i mezzi utilizzati si potrebbe dire sempre. Tranne purtroppo quando il mare fagocita tutto: vite, barche, speranze e affari criminali.
Al netto degli opposti schieramenti politici, degli odiatori seriali, dei radical chic e dei vecchi e nuovi razzisti, anche da Perugia si può capire che su quei barconi non ci sono soltanto persone che fuggono dalla Guerra – a cui va dato asilo – e dalla povertà a prescindere, ci sono anche forti interessi commerciali che trasformano persone in merce da piazzare sui vari mercati della criminalità. C’è chi usa quei barconi, nascondendo il tutto tra povertà e chi è in fuga per non morire, per fare soldi, soldi veri.
Le prove? Ci sono: ecco la tratta delle profughe da inserire nel mondo della prostituzione di Perugia e provincia. La polizia ha intercettazioni, testimonianze, denunce che dimostrano tutto questo tanto da aver liberato una ventina di ragazze e allo stesso tempo arrestati 8 individui nigeriani che dall’Umbria tiravano le file. 
Le schiave del sesso arrivano con i barconi dalla Libia: finti contratti per i permessi, poi tutte a lavorare in strada
La “merce umana” in questo caso sono le giovani ragazze africane da importare. In Nigeria, nei villaggi più rurali, venivano individuate le più belle, e convinte alcune con la forza, ad iniziare un viaggio infinito. In camion, a piedi e con altri mezzi di fortuna fino in Libia. E qui, in campi improvvisati, attendono il giorno buono per essere spedite. Costrette a pagare il biglietto donandosi a scafisti e mediatori. La Squadra Mobile – tre anni di indagine approfondite – ha cristallizzato nell’inchiesta anche una testimonianza di una nuova schiava: “Sono partita dalla Nigeria insieme ad altri connazionali, uomini e donne. Poi siamo saliti su dei camion – ammassati come animali – per arrivare in Libia. Una volta qui sono stata reclusa in un campo profughi, picchiata e brutalizzata. Ho aspettato un mese prima di essere imbarcata”. Alla domanda se la giovane ha pagato un biglietto la risposta è stata no. “Hanno preferito gli scafisti (un libico e un nigeriano), su richiesta esplicita, che mi concedessi sessualmente al posto del biglietto”.
L’organizzazione criminale è formata da nigeriani che attendono a Perugia l’arrivo della merce umana. E sono preoccupatissimi come emerge dalle intercettazioni per due aspetti in particolare. Le condizioni del mare (che potrebbe provocare naufragi e quindi addio alle ragazze-merci) e le condizioni politiche (che la rotta dalla Libia non venga interrotta, come si sta facendo, a torto e a ragione in questi giorni con i ministri Salvini e Tonilelli in accordo con il Premier Conte).
Alcuni passaggi delle intercettazioni dell’inchiesta dalla mobile pubblicate: “Ho cinque donne che devono arrivare: prego perchè la tratta dalla Libia non finisca”. L’altro passaggio: “Se arrivano sane e salve…”. Si prega per salvare il business che sta anche all’interno dei barconi, dove ripeto c’è che tanta gente che fugge legittimamente e che deve essere salvata, accolta e integrata.
Prima il salvataggio in mare e il trasferimento in natanti delle organizzazioni non governative, come racconta la ragazza ex prostituta nigeriana: “All’arrivo in Italia inizialmente sono rimasta all’interno di un centro accoglienza di Lampedusa. Ma poi sono riuscita a fuggire” e poi l’organizzazione ha pensato a tutto per farle raggiungere Perugia che non conosceva.
La merce umana una volta arrivata a Perugia si trasformava in bellissime e malinconiche schiave del sesso a 30 euro in macchina e 50 a casa. Tantissime ragazze di notte lungo le strade di Pian di Massiano in cerca di clienti e di riscatto. Eh già perchè per diventare libere devono pagare una somma che aumenta con gli interessi giorno dopo giorno, oltre che a pagare gli appartamenti messi a disposizione, i permessi umanitari fittizi e la percentuale sui rapporti sessuali consumati. E chi si ribella e chi paga poco? Ecco entrare le altre donne dell’organizzazione le “maman”: riti voodoo contro loro e le famiglie lontane, violenze fisiche e punizioni come dormire sul terrazzo in pieno in inverno. Lavora così la Mafia Nigeriana, a Perugia come altrove. È la dimostrazione che su quei barconi c’è tanto di buono ma anche oscuri business sulla pelle umana che vanno interrotti subito. E qui la politica, rossi e neri, non c’entra niente. È un discorso di sicurezza per l’Italia e per queste giovani donne.
Profughi, richiedenti asilo erano i pusher, una ventina, fermati e arrestati sempre dalla Mobile di Perugia che erano tornati ad vendere in serie dosi di droga. Anche loro, soprattutto i più giovani, erano in mano alla mafia nigeriani. Reclutati, indirizzati e formati per l’altra attività che rende molto a questi mafiosi nel perugino: le sostanze stupefacenti. Anche questi giovani schiavi del bisogno e di un futuro che da clandestini e difficile da conquistare.

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