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Il 25 luglio 1943 e l’8 settembre 1943 non sono la stessa cosa

di Andrea Guenna – Tra la notizia dell’arresto di Mussolini (mascherato da dimissioni) avvenuto il 25 luglio del 1943 e il messaggio letto da Pietro Badoglio alla Radio alle 19:42 dell’8 settembre 1943 per informare gli italiani dell’avvenuto armistizio di Cassibile firmato con gli anglo-americani il giorno 3 dello stesso mese, erano passati 45 giorni. I due fatti erano, sì la conseguenza l’uno dell’altro, ma in quei 45 giorni la guerra era andata avanti al fianco dei tedeschi che erano i nostri alleati.
Oggi leggo: “La notizia delle dimissioni di Mussolini da capo del governo e la sua sostituzione con il maresciallo Badoglio fu data solo alle 22:45 del 25 luglio 1943. La maggior parte degli italiani andò a letto senza sapere del radicale stravolgimento politico. Non così Duccio Galimberti, che si trovava a Torino dal fratello Carlo Enrico. Telefonò ai suoi compagni di studio e di partito, avvertendoli che sarebbe rientrato l’indomani presto a Cuneo. Era turbato dal secondo comunicato della radio, quello di Pietro Badoglio: La guerra continua a fianco dell’alleato germanico… chiunque turbi l’ordine pubblico sarà inesorabilmente colpito”.
Il turbamento di Galimberti è comprensibile perché la frase di Badoglio che, nell’assumere l’incarico di capo del governo al posto del Duce, confermava la validità dell’alleanza coi tedeschi, faceva sì che ogni atto ostile nei loro confronti – piaccia o non piaccia – era una cosa sola: tradimento. Tra il 25 luglio e l’8 settembre, infatti, non era venuto meno il patto d’acciaio, sottoscritto proprio dal Re Vittorio Emanuele III in qualità di Capo dello Stato, confermato da Badoglio, patto che legava l’Italia alla Germania e che, per questo motivo, gli italiani dovevano rispettare. Altra cosa sarebbe stata la situazione dopo l’otto settembre, per cui l’Italia, chiedendo ed ottenendo l’armistizio separato con gli Alleati, scioglieva di fatto il popolo italiano da qualsiasi impegno assunto coi tedeschi. E chi scrive annovera parenti che hanno combattuto da partigiani nelle Langhe, ma a partire dall’8 settembre in poi e non prima.
A dimostrazione che gli italiani avevano capito perfettamente qual era la situazione, le cose non erano cambiate, e anche mio padre Alberto Guenna (nella foto a lato) richiamato alle armi dopo il 25 luglio 1943, è stato arrestato dai tedeschi il 9 settembre, e il 12 settembre era già finito nel lager di Luckenwalde. Fino all’8 settembre era stato in regolare servizio alla caserma Passalacqua di Tortona, pur avendo quasi trent’anni ed essendo sposato e padre di una splendida bambina di tre anni (a sinistra la moglie Olga e la figlia Margherita). Ed ha rispettato quel servizio per tutti quei 45 giorni, semplicemente perché l’alleato era sempre tedesco e il nemico che ci bombardava dal mattino alla sera, angloamericano. Punto.
Tutto ciò senza andare a scomodare dietrologie malate di un antifascismo che in quel momento interessava pochi italiani che avrebbero dato libero sfogo alle loro pulsioni ideali solo dopo l’8 settembre.
Poi, la storia di Galimberti è la nostra storia di oggi, al di là delle convinzioni di ciascuno, ma è partita dopo l’8 settembre e non dopo il 25 luglio. Dopo il 25 luglio era nascosta, dopo l’8 settembre era alla luce del sole.
Infatti gli italiani, che non sono dei traditori ma delle persone perbene, fino all’armistizio, hanno rispettato i patti. Pacta servanda sunt.
E, anche stavolta, fascismo e antifascismo non c’entrano un tubo.

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