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DA ENZO PALUMBO – RETE LIBERALE

L’ATTUALE PARLAMENTO, DOPO LA SENTENZA DELLA CORTE COSTITUZIONALE, È ANCORA LEGITTIMO? –

Lo scorso 15 dicembre, in occasione di una riunione del Rotary Club di Messina Peloro, egregiamente presieduto da Pippo Rao, il Direttore della Gazzetta del Sud Lino Morgante ha intervistato Stefano Folli, tradizionale opinionista del Sole 24 Ore, recentemente passato a Repubblica, reduce da una lezione svolta nel pomeriggio all’Università di Messina nell’ambito della Scuola di Liberalismo.
Lino Morgante ha incalzato Folli con domande intelligenti ed argomentate sui più scottanti temi di attualità, ed in particolare sul cantiere delle riforme istituzionali, sulle quali Folli ha espresso numerose e ragionate perplessità.
Nell’occasione, ho svolto un breve intervento, chiedendo in particolare a Folli se l’attuale Parlamento possa ritenersi ancora legittimato, in particolare sul tema delle riforme istituzionali, e ciò dopo che la sentenza n. 1-2014 della Corte Costituzionale ha censurato le modalità della sua elezione.
La risposta di Folli è stata nel senso che l’attuale Parlamento è ancora legittimato perché eletto in forza di una legge vigente all’epoca della sua elezione, e può quindi continuare ad operare, e tuttavia dovrebbe farlo, specie in tema di riforme, con una dose ulteriore di prudenza, proprio in ragione dei dubbi che aleggiano sulla sua attuale composizione.
Non ho difficoltà a riconoscere che, per stare solo alla forma, l’attuale Parlamento è certamente legittimato a proseguire nella sua normale attività.
Non sfugge in proposito, ed in via generale, che le sentenze della Corte Costituzionale che dichiarino incostituzionale una legge ne travolgono, anche per il passato (ex tunc), gli effetti che non si siano nel tempo definitivamente consolidati (p. e., per essere passata in giudicato una sentenza resa in forza di quella legge poi dichiarata incostituzionale, o per essere scaduti i termini entro cui fare valere in giudizio un diritto pregiudicato da quella legge).
Ed è ciò che la Corte ha tenuto a riaffermare nel caso specifico, richiamando il principio secondo cui “la … retroattività … vale soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida”, ed altresì affermando che “non sono riguardati gli atti che le Camere adotteranno prima che si svolgano nuove consultazioni elettorali”, concludendo infine che “nessuna incidenza è in grado di spiegare la presente decisione neppure con riferimento agli atti che le Camere adotteranno prima di nuove consultazioni elettorali”.
Ne consegue che questo parlamento, ancorché eletto con una legge poi dichiarata parzialmente incostituzionale (quanto alla previsione del premio di maggioranza e delle liste rigide), può continuare ad operare, e ciò in omaggio al principio della indefettibilità e continuità degli organi costituzionali, sempre affermato in passato dalla Corte e richiamato nella stessa sentenza n. 1-2014.
Tuttavia, la sentenza della Corte, affermando che la retroattività delle sue sentenze vale solo per i rapporti che siano ancora pendenti, non ha considerato che il procedimento elettorale non si conclude con la proclamazione degli eletti ma con la convalida ad opera della Giunta delle Elezioni (e poi dell’Assemblea) della camera di appartenenza, e non ha quindi affrontato il problema di quei parlamentari che, alla data della sentenza n. 1-2014, non erano stati ancora convalidati (ben 618, oltre i 12 eletti all’estero), ed in particolare dei 148 deputati eletti solo grazie al premio di maggioranza riconosciuto alla coalizione PD-SEL.
Il che dovrebbe quanto meno fare dubitare della legittimità della loro permanenza in carica, non essendo più possibile, a stretto rigore, la loro convalida in forza di quella legge elettorale, e ciò proprio sulla base della consolidata giurisprudenza della stessa Corte.
Invero, il rapporto di quei parlamentari con l’istituzione Parlamento era certamente ancora pendente alla data della sentenza della Corte, e per la verità lo è ancora oggi, perché non risulta che la Giunta delle elezioni della Camera abbia sin qui convalidato in via definitiva la loro elezione, essendosi limitata a rinviare ogni decisione al momento in cui andrà a redigere la relazione finale sulla questione degli effetti della sentenza n. 1-2014, in vista della quale sono ancora in corso le audizioni dei costituzionalisti che la Giunta ha ritenuto di audire sulla controversa materia.
Poiché quella della convalida è vera e propria attività giurisdizionale, la questione non era (e non è) ancora esaurita ed è invece ancora pendente e sub judice, e ciò proprio nei termini richiesti dalla costante giurisprudenza della Corte perché la sentenza dichiarativa di incostituzionalità possa spiegare i suoi effetti ex tunc.
Ovviamente, è lecito dubitare che la maggioranza della Giunta (e poi dell’Aula), che è omologa a quella maggioranza parlamentare che sostiene il Governo, decida di andare nel senso di sovvertire l’attuale assetto parlamentare; e tuttavia, a stretto rigore, ciò è astrattamente possibile e sarebbe anche costituzionalmente doveroso.
A prescindere da ciò, io credo che un Parlamento del genere (che politicamente, se non giuridicamente, appare ormai delegittimato) dovrebbe sentire il pudore di funzionare solo per la normale, se non per l’ordinaria, amministrazione (p.e.: dare un governo al Paese) e per gli atti dovuti (p. e.: eleggere gli altri organi di sua competenza, come i membri della Corte e del CSM), per poi consentire al Paese di eleggere, prima possibile e comunque in tempi brevi, un altro parlamento con una nuova legge che risponda ai requisiti chiarissimi dettati dalla Corte con la sentenza n. 1-2014, ovvero, se non ci riesce, con la legge elettorale certamente costituzionale come corretta dalla Corte (su ciò ho tenuto alla Scuola di Liberalismo di Messina 2014 un’apposita relazione, che è a disposizione di chi volesse leggerla).
Quello che trovo inammissibile è che proprio questo Parlamento, eletto con una legge maggioritaria dichiarata incostituzionale, e formato in buona parte da persone che, a stretto rigore, non dovrebbero comporlo, possa mettere mano alla stessa Costituzione, stravolgendo tutti gli assetti costituzionali, e con ciò esponendo il Paese al dubbio che la Costituzione del futuro sia stata opera di un gruppo di persone che non aveva alcun diritto di farlo.
Non sarà forse un colpo di stato, come qualcuno sostiene, ma così sarà considerato in futuro, quanto meno da chi non sarà riuscito a profittarne.

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