Press "Enter" to skip to content

FABBRICHE DI COMPOST O FABBRICHE DI DEBITI?

I politici alessandrini non brillano né per cultura né per intelligenza, ma c’è un limite a tutto. Non si può continuare per mezzo secolo a rifare gli stessi errori, specie se estremamente costosi e deleteri per i bilanci. Diciamo questo dopo avere appreso che il Consorzio rifiuti del casalese è intenzionato a creare un impianto per produrre compost. Per chi ancora non lo sapesse il compost è stata un’utopia, per non dire una follia, risalente a mezzo secolo fa, per cui ci si illuse di triturare i rifiuti organici per trasformarli in concime. I terreni come quelli della Val Padana, che sono tra i più fertili di Europa, con l’aggiunta del compost riducono anziché aumentare la propria produttività per ettaro. E di questo siamo assolutamente sicuri poiché abbiamo potuto verificarlo noi stessi. Quando si incominciò a parlare del compost, presentato come un’ autentica alchimia in grado di compiere un doppio miracolo: ridurre la quantità di fertilizzanti chimici presenti nei terreni agricoli e, nel contempo, risolvere il problema del che fare della parte organica dei rifiuti urbani, il Comune di Alessandria, allora gestito da persone di buon senso, ci diede l’incarico di verificare praticamente l’efficacia del compost. Con la collaborazione di un agricoltore prendemmo un  campo, lo dividemmo in tre parti, in una facemmo una coltivazione tradizionale di granoturco, nella seconda aggiungemmo compost in piccola quantità e nella terza in quantitativo elevato, come consigliato dal produttore che voleva vendere l’impianto al Comune. Il risultato fu il seguente: più si aggiungeva compost più calava la produzione di granoturco. Anche la motivazione era evidente. Poiché la parte organica dei rifiuti era mescolata a rifiuti di altro genere, essendo all’origine impossibile una separazione efficace dei vari componenti, l’ immissione del compost nei terreni agricoli aveva effetti del tutto negativi sul raccolto. Tutt’al più poteva servire come “emendante”, con un effetto simile a quello della torba, in terreni argillosi molto pesanti, mentre i terreni padani sono  sabbiosi e leggeri. L’ esperienza nostra fu poi verificata anche da altri agricoltori che la confermarono. In particolare diedero risultati assolutamente pessimi per compost formati da rifiuti organici di origine industriale, come i ritagli di pelle di conceria che contenevano cromo esavalente  o residui di confezioni in plastica (i sacchetti in uso nei negozi di alimentari) che disgregandosi producevano cloro. Nonostante questi risultati, per motivi di cui è meglio non dire, i vari consorzi per i rifiuti negli anni si affrettarono a produrre compost che regolarmente finiva poi in discarica non trovando nessun acquirente. Verificare la veridicità di quanto detto è molto semplice. Basta prendere i bilanci dei vari consorzi per lo smaltimento rifiuti e vedere quanto si spende per produrre il compost e quanto si incassa dalla sua vendita. Semplice verifica alla portata di chiunque, che dimostra come gli impianti del compost non producono concime, ma debiti. E gli anni che stiamo vivendo non  ci permettono più alcuno spreco. È criminale risparmiare sulle spese sanitarie e poi gettare quattrini per produrre il compost.

More from Dentro la notiziaMore posts in Dentro la notizia »

Be First to Comment

    Lascia un commento